"Non doveva essere su quel treno", il disastro tra la nebbia

Il 7 gennaio 2005 si consumava la tragedia di Crevalcore: "Le responsabilità solo su chi non c'è più"

"Non doveva essere su quel treno", il disastro tra la nebbia

L’incidente ferroviario di Crevalcore è stato sicuramente tra quelli che hanno scosso maggiormente le coscienze collettive sul concetto di precarietà della vita, portato all’aggiornamento dei sistemi di sicurezza, provocato ripercussioni anche indirette su superstiti, familiari e amici delle vittime. Perché è questo che accade dopo una grande tragedia. Una tragedia che in questo caso ha portato alla morte di 17 persone e al ferimento di altre 80. Lavoratori, pendolari, che quel giorno avevano scelto il trasporto pubblico oppure erano soliti spostarsi in questo modo.

Il viaggio

È il 7 gennaio 2005: il treno passeggeri Ir2255 sta effettuando la tratta tra Nogara e Tavernelle Emilia della linea Verona-Bologna. A bordo ci sono 200 persone, per lo più lavoratori pendolari. “Mauro non doveva andare a lavorare - ha detto a Il Resto del Carlino Nadia Zecchi, vedova di Mauro Bussolari, dipendente di una causa farmaceutica e una delle 17 vittime - Ma andò lo stesso perché doveva sistemare alcune questioni d’ufficio a Verona. E rientrò in treno perché c’era una grandissima nebbia, per evitare di fare il tragitto in automobile”. La nebbia è in effetti una delle chiavi per comprendere la vicenda: quella mattina nei pressi di Bolognina di Crevalcore c’era una fitta nebbia, e questo può aver influito sull’errore umano alla base del disastro ferroviario.

L’incidente

Sono le 12.53 quando avviene il tragico schianto frontale. Come riporta il sito Ferrovie, si stava procedendo all’incrocio tra il regionale e un treno merci, il 59308, che proveniva dal Sud Italia. I due convogli stanno procedendo in senso opposto, su un binario unico: all’epoca erano possibili degli scambi veloci attraverso un sistema di segnalazione, ovvero “il treno incontra nell'ordine prima il segnale di avviso del posto di movimento (che serve da preavviso al segnale di protezione) disposto al verde (avviso di via libera in corretto tracciato senza limitazioni di velocità), poi il segnale di protezione disposto al giallo (avviso di via impedita a 1.200 metri con riduzione di velocità per potersi arrestare entro lo spazio previsto) e successivamente il segnale di partenza disposto al rosso (conferma di via impedita)”.

Crevalcore

Ma questi segnali, che in effetti avevano funzionato, non vengono rispettati da macchinisti, aiuto macchinisti e dal capotreno: da subito ci si chiede se i segnali non siano stati visti a causa della nebbia, dato che la visibilità stimata era tra 50 e 150 metri. Così i due treni stanno procedendo con una velocità superiore a quella cui dovrebbero e finiscono per scontrarsi: in uno dei vagoni passeggeri si apre uno squarcio, ma non sono solo loro a pagare con la vita per l’errore umano. Tra le 17 vittime e gli 80 feriti ci sono infatti sì molti passeggeri, ma anche i macchinisti di entrambi i convogli. Si chiamavano Ciro Cuccinello, Equizio Abate, Vincenzo De Biase, Paolo Cinti, Francesco Scaramuzzino, Donatello Zoboli, Diana Baraldini, Claudia Baraldini, Daniel Buriali, Andrea Sancini, Mauro Bussolari, Banka Bairam, Alberto Mich, Bruno Nadali, Anna Martini, Mario Santi e Matteo Sette.

Le responsabilità

Nel 2011 si concluse il processo a carico di 7 persone, tra dirigenti e funzionari della Rete Ferroviaria Italiana. Le indagini su Crevalcore si erano chiuse appena un anno prima. Il processo assolse le Ferrovie, imputando le sole responsabilità al macchinista e al capotreno, i compianti Vincenzo Debiase e Paolo Cinti: secondo i magistrati, non videro i semafori rossi a causa della nebbia.

Quel verdetto è vergognoso - disse all’epoca Alessandra, mamma del ventenne Daniel Buriali, la vittima più giovane - una presa in giro. Sulla tratta Verona-Bologna non c'era il dispositivo di sicurezza che blocca automaticamente il treno se passa con il rosso e mi si vuol far credere che la colpa era dei macchinisti? […] Allo Stato italiano chiedo giustizia quella vera. Non mi basta quella sentenza. Vorrei vedere in faccia i capi delle Ferrovie e vorrei che loro vedessero me. Vorrei fissare i loro occhi, senza tante parole”.

Oltre la tragedia

Come spesso accade in questi casi, c’è stato un cambiamento radicale in termini di organizzazione e sicurezza: la linea è oggi a doppio binario, e possiede un diverso sistema di sicurezza, il Sistema di Controllo della Marcia Treno, che mantiene la vigilanza elettronica sul personale di macchina, cercando quindi di prevenire possibili errori umani. Vicino all’ex stazione di Bolognina c’è oggi inoltre il Parco 7 gennaio 2005, con una stele in cui sono annotati i nomi delle 17 vittime.

I superstiti furono invece al centro di un case study psicologico di cui si è occupata l’Università di Bologna: essere sopravvissuti alla tragedia ha rappresentato per loro l’esplosione della sindrome da stress post-traumatico ma anche ma anche lo sviluppo del “senso di colpa del sopravvissuto”, che nasce dalla convinzione di non essere riusciti a fare abbastanza per salvare gli altri.

Dalle parole dei sopravvissuti - si legge nell’articolo di Pietrantoni, Palestini, Prati e Cigognani apparso nel 2008 sulla rivista Psicologia Contemporanea - emergono una sensazione di choc e incredulità (parole come ‘agghiacciante’, ‘irreale’ sono molto frequenti) e successivamente le reazioni tipiche della ‘fase dell’inventario’ in cui i sopravvissuti verificano le conseguenze dell’evento su se stessi e sui loro cari: ‘Un miracolo. Ancora non ci credo di essere riuscita a salvarmi’; o ancora: ‘Uno sembrava illeso. Però correva in circolo e non si fermava mai. E ripeteva grazie, Madonna. Quando mi sono avvicinato mi ha abbracciato e ci siamo messi a piangere’. Dai resoconti dei superstiti, emerge l’attuazione anche in un contesto così drammatico di comportamenti prosociali e altruisti, spesso però senza successo considerata la dinamica dell’incidente: ‘C’era un uomo, infatti, ed era incastrato. Urlava, ma non siamo riusciti a tirarlo fuori’”.

A cinque giorni dal disastro di Crevalcore, un macchinista, Alberto Guerro, si suicidò.

Era amico dei colleghi sul treno merci: come riporta Repubblica, c’è chi lo ritiene la 18esima vittima del disastro, poiché il suicidio potrebbe essere stato innescato dal dolore per la perdita e legato a un precedente deragliamento subito in prima persona. Ma naturalmente si possono fare solo supposizioni in merito, senza averne certezza.

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