Una nuova ondata migratoria verso l’Europa e un'invasione di cibo "spazzatura" che può mettere a repentaglio la salute dei consumatori. Sono solo alcune delle possibili conseguenze della crisi alimentare che minaccia di esplodere nei prossimi mesi sulla scia del conflitto in Ucraina e che già si fa sentire sul carrello della spesa degli italiani. Gli aumenti dei prezzi dei beni di prima necessità, come pasta, carne, latticini e verdura, ormai sono tutti a doppia cifra. Colpa, secondo il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, di una speculazione senza precedenti.
La guerra in Ucraina minaccia la sicurezza alimentare a livello globale, siamo a rischio anche noi?
"Il tema è di carattere speculativo e riguarda alcuni settori dell’agroalimentare, in particolare quello dei cereali. L’Europa già oggi è autosufficiente per la maggior parte delle filiere, quindi come continente e come Italia non vedo rischi nell’immediato. È d’obbligo, però, fare un ragionamento a lungo termine rispetto ai Paesi del bacino del Mediterraneo, come Tunisia, Turchia, Marocco, Libano, Libia, che rischiano invece di avere delle forti ripercussioni legate alla disponibilità di alcune tipologie di cereali, per cui dipendevano fortemente dal mercato russo e ucraino".
Sta parlando della possibilità che scoppino nuove rivolte, come fu per le primavere arabe?
"All’epoca ad innescare le sommosse fu proprio la mancanza di cibo e soprattutto di pane. La situazione che stiamo vivendo oggi potrebbe dar vita a nuove tensioni, provocando anche nuove ondate migratorie nei prossimi mesi. Stiamo parlando di milioni di potenziali nuovi profughi da Medio Oriente e Nord Africa. Non è una situazione da sottovalutare perché a ritrovarsi in difficoltà potrebbero essere interi Paesi".
Come si fa a scongiurare la crisi?
"Prima di tutto bisogna essere lungimiranti: preoccuparci di non far mancare certi prodotti anche agli altri per evitare conseguenze ben più gravi per tutti. L’Europa non deve soltanto essere autosufficiente a livello produttivo, ma aumentare il proprio export, anche grazie alle nuove tecnologie che ci aiutano a far fronte anche ai cambiamenti climatici e allo stress idrico. E poi serve un monitoraggio comunitario sulla speculazione, dalle materie prime alimentari a quelle energetiche. Bisogna creare le condizioni per cui quello che non arriva dalla Russia e dall’Ucraina sia compensato dalle scorte che qualcuno oggi sta trattenendo per far lievitare i prezzi".
Si riferisce a Russia e India?
"Dei tentativi ci sono stati anche in Europa. Due mesi fa alcuni Paesi dell’Est, tra cui l’Ungheria, hanno cercato di bloccare le esportazioni. Ovviamente stiamo parlando di Stati con una capacità produttiva ben al di sopra del consumo interno. All’epoca, grazie all’intervento del governo italiano, siamo riusciti a far sì che si desse seguito ai contratti già stipulati. Il punto, però, è che in questa fase non c’è posto per gli egoismi".
Ma chi è che sta guadagnando sulla scia del conflitto?
"Sono soprattutto gli intermediari. Basti pensare che negli Stati Uniti, dove hanno sede le borse in cui si formano i prezzi dei cereali, i prodotti, prima di essere effettivamente movimentati per la consegna, sono sottoposti a sette passaggi di vendita. Insomma, buona parte dell’aumento dei prezzi non è dato da una effettiva indisponibilità del prodotto, ma dalla semplice speculazione".
Cosa significa per la nostra industria e per i consumatori?
"Il contraccolpo economico è evidente. L’obiettivo è quello di renderlo il più lieve possibile. Non è facile, però, visto che alla speculazione sulle materie prime alimentari si aggiunge anche quella sull’energia".
Una tempesta perfetta…
"Il paradosso è che la disponibilità di gas in Italia è addirittura superiore rispetto agli anni precedenti. Il punto è sempre lo stesso: ci sono pochissimi soggetti che si stanno arricchendo approfittando della guerra. Chi fa il prezzo del gas in Europa, ad esempio, è l’Olanda. Un Paese che non ha un metro cubo di gas disponibile ma che sta traendo enormi profitti da questo mercato. Non a caso è uno dei principali oppositori della proposta italiana di mettere un tetto ai prezzi".
Quindi per bloccare gli aumenti basta fermare la speculazione, in che modo?
"Nel settore agroalimentare la speculazione si ferma con l’istituzione, a livello europeo, di una gestione comune delle riserve di prodotti che si trovano all’interno dei centri di stoccaggio. Dopo di che, fuori dai confini dell’Unione, tutti, a partire dagli Stati Uniti, si dovrebbero impegnare ad evitare elementi distorsivi all’interno delle borse. Se non lo facciamo noi, e cioè il blocco atlantico, lo farà qualcun altro. Oggi la Cina contribuisce, in termini di investimenti, allo sviluppo di buona parte delle economie africane. Lasciare al sistema asiatico il predominio anche sulle derrate alimentari è un errore strategico".
In Inghilterra l’inflazione sta mettendo a rischio il fish and chips, in Italia esiste il pericolo che alcuni prodotti non si trovino più sugli scaffali?
"La Gran Bretagna è un Paese che non ha investito sull’agroalimentare, e per questo ora si ritrova ad essere carente su tutte le filiere, oltre ad essere ulteriormente penalizzata dall’uscita dall’Unione europea. Il rischio, in Italia, è che per effetto dell’inflazione ci sia un aumento significativo dei costi, ma non prevedo criticità sulla disponibilità dei prodotti".
Con l’impennata dei prezzi è possibile che si facciano largo tra i consumatori prodotti di qualità più bassa ad un costo più accessibile?
"È in atto un tentativo da parte di chi si occupa della compravendita delle derrate alimentari di abbassare gli standard qualitativi per importare prodotti a prezzi più competitivi, nonostante il fabbisogno europeo sia coperto per buona parte dalle nostre produzioni. Si tratta di alimenti trattati con sostanze vietate da decenni in Europa. Anche qui l’interesse è di tipo finanziario e speculativo, ma le istituzioni europee stanno di fatto aprendo la porta a questi prodotti lasciando liberi gli Stati membri sulla definizione degli standard qualitativi che riguardano l’import alimentare. Il problema, però, è che le materie prime di qualità inferiore, dopo essere state lavorate nei singoli Paesi Ue, potranno essere immesse sul mercato europeo sotto forma di prodotti trasformati. Insomma, oltre a non abbassare i costi, l’importazione di prodotti potenzialmente nocivi avrà solo l’effetto di minare l’eccellenza del nostro agroalimentare ed esporre i consumatori al rischio di tossicità".
Cosa bisognerebbe fare per tutelare produttori e consumatori?
"Innanzitutto, estendere la concessione alle aziende agricole dei terreni a riposo. Contestualmente, accompagnare e sostenere le imprese attraverso la Politica Agricola Comune anziché sottrarre risorse all’agricoltura, come si è pensato di fare a livello europeo, a favore delle rinnovabili.
L’energia rinnovabile va implementata ma con misure alternative. Diminuendo i fondi destinati all’agricoltura diminuisce solo la competitività e questo va a scapito del consumatore finale. Oggi tutti hanno capito che questo è un settore centrale, che va difeso e sostenuto".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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