Nuovo sequestro da 15 milioni ​alla famiglia Capriotti

Sequestrati immobili di lusso e persino un Bingo

Nuovo sequestro da 15 milioni ​alla famiglia Capriotti

Sequestro milionario alla famiglia Capriotti. Gli imprenditori romani, Enzo Capriotti e i figli Angelo e Roberto, sono accusati dalla Procura di Roma di bancarotta fraudolenta. Ovvero di aver dirottato il denaro della loro società facendola fallire deliberatamente. Nel 2013 Angelo, 54 anni, viene arrestato all’aeroporto di Zurigo dalla polizia svizzera con l’ipotesi di reato di corruzione. Secondo persone coinvolte in un presunto giro di tangenti, l’imprenditore, socio del consorzio Svemark, avrebbe versato denaro per la costruzione di strutture carcerarie modulari a Panama. Un affare da 170 milioni di euro mai portato a termine. Ma c’è dell’altro: le parole di Angelo Capriotti, riferite ai magistrati “per sentito dire”, secondo quanto ha scritto il Fatto quotidiano, sarebbero state utilizzate dai magistrati napoletani Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock per accusare l’ex premier Silvio Berlusconi di incontri a luci rosse organizzati da Valter Lavitola. È Capriotti a sostenere davanti ai pm, sempre secondo il Fatto quotidiano, che “Lavitola mi disse che procurava ragazze mercenarie a Berlusconi a Panama e in Brasile”. Ancora lui avrebbe appreso dal suo socio in affari, Mauro Velocci, che Lavitola filmava i video “a luci rosse” degli incontri e che lo stesso Velocci ne aveva duplicato una copia. Nell’agosto scorso i tre componenti la facoltosa famiglia di costruttori vengono arrestati per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, le Fiamme Gialle avviano un procedimento di sequestro e confisca dei beni per oltre 15 milioni di euro. Fra questi quattro appartamenti a Miami Beach, Florida, immobili di pregio a San Felice Circeo, Latina, ad Arcidosso, Grosseto, a Sant’Anatolia di Narco, Perugia, un immobile a Rio De Janeiro, in Brasile. Infine una sala bingo operante nel settore dei giochi e delle scommesse, in zona piazza Bologna, a Roma.

Sequestrato, inoltre, il capitale sociale e il patrimonio di 19 imprese. In totale, dall’avvio dell’inchiesta nel 2008, sono stati sequestrati ben 75 milioni di euro. Tra questi una lussuosa barca a vela, la “Rubin lady”, una villa di 26 vani nel parco nazionale del Circeo con accesso diretto al mare e più di 30 milioni di euro tra conti correnti e rapporti fiduciari. I sequestri, eseguiti dal Nucleo di Polizia Tributaria della capitale su disposizione del Tribunale di Roma, si fondano su un impianto accusatorio secondo cui la ricchezza accumulata dai tre imprenditori capitolini sia frutto di attività criminose e sia sproporzionata rispetto ai redditi dichiarati. Secondo gli inquirenti è proprio Angelo Capriotti a capo delle attività di famiglia, responsabile principale delle operazioni infragruppo e dei “dirottamenti” di capitale che avevano portato alla bancarotta fraudolenta e al fallimento, nel 2011, della S.I.E. Costruzioni Generali S.p.A. I tre, sempre secondo la ricostruzione investigativa, avrebbero “dissimulato le proprie responsabilità ostacolando la riconducibilità della effettiva gestione delle imprese, nonché predisposto assetti proprietari e amministrativi di comodo con l’interposizione di soggetti compiacenti”, prestanome. La Guardia di Finanza si sarebbe concentrata sulla “disinvolta e spregiudicata gestione delle società” scoprendo l’intento di creare una bad company da trasferire in Brasile cui attribuire tutti i debiti accumulati nel tempo attraverso la fusione di altre 5 società, gravate da debiti. I finanzieri avrebbero analizzato meticolosamente i numerosi conti correnti bancari intestati a varie società tutte facenti capo allo stesso indirizzo, la sala di regia del gruppo di imprese. Dai conti legati a società in fallimento, o decedute del tutto, il denaro veniva trasferito in Brasile su conti intestati ad Angelo Capriotti e da lui utilizzati per acquisti personali. Ad Angelo Capriotti viene contestata anche una truffa aggravata: l’uomo avrebbe ottenuto finanziamenti pubblici per più di 400mila euro grazie a fatture false, falsi contratti, false dichiarazioni liberatorie attraverso la predisposizione di una relazione tecnica che attestava la falsa realizzazione del 50 per cento di un progetto finanziato con denaro pubblico. Capriotti avrebbe provato a far ricadere le responsabilità su un proprio dipendente non a caso nominato amministratore della società che aveva ottenuto il finanziamento. Classe ’61, Angelo Capriotti comincia la sua carriera come manovale nell’azienda del padre. Lasciati gli studi crea un gruppo specializzato nelle gare pubbliche e negli appalti delle carceri.

Gli affari vanno bene fino al 2001 quando il suo nome spunta nella prima di numerose indagini. Successivamente viene prosciolto per le due maxi inchieste sulle carceri. Nel 2013 viene arrestato su mandato della Procura di Napoli con l’accusa di corruzione internazionale nel filone panamense. È a quel punto che Capriotti rilascia dichiarazioni, finite in una seconda inchiesta in cui non risulta indagato, per la presunta corruzione realizzata da Lavitola nei confronti del presidente di Panama Alberto Martinelli nel 2011 a beneficio di Impregilo. Nell’interrogatorio dell’aprile 2013 Capriotti, sempre per sentito dire, racconta: “Velocci mi disse di essere in possesso di video che riprendevano Martinelli intento ad assumere sostanza stupefacente. Io non ho però mai visto tali video. So che Velocci si sentiva molto potente dopo aver svuotato i computer e i telefoni di Lavitola”. “La circostanza dei filmini - continua Capriotti - insieme alla esplicita richiesta di 22 milioni di dollari da parte di Martinelli quale tangente per la realizzazione delle carceri modulari, fu da me riferita all’ambasciatore Curcio, in un incontro alla presenza dello stesso Velocci che registrò il colloquio”.

Ai pm partenopei Capriotti aggiunge particolari persino sul ruolo presunto di Lavitola nell’affare Montecarlo - Fini: “Lavitola e Velocci, in quell’occasione, mi dissero che Rogelio Oruna (imprenditore panamense) gli aveva messo a disposizione il proprio aereo per portare in Italia i documenti che provavano la riferibilità della casa di Montecarlo al cognato di Gianfranco Fini. Mi dissero anche che il viaggio aveva avuto un costo di 280 mila dollari”.

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