C'è davvero qualcosa d'involontariamente «ironico» in questo succedersi della Festa della Repubblica, il 2 giugno, e del Giorno di Liberazione Fiscale, che secondo la Cgia di Mestre cadrebbe appunto oggi. In sostanza, un italiano medio lavorerebbe fino a inizio giugno per lo Stato e soltanto da ora in poi per la propria famiglia. Sempre secondo questo centro studi, nel 1980 tale data si collocava ben 38 giorni prima, a testimonianza del fatto che la pressione fiscale negli ultimi quarant'anni è cresciuta davvero oltre misura. Si può discutere sui conti elaborati dalla Cgia. Molte ricerche, in effetti, spostano assai più in là la fine del «lavoro forzato», di quella parte dell'anno cioè che noi passiamo a finanziare la spesa pubblica (e neppure tutta, dato che ogni anno lo Stato incrementa quel debito che mette a rischio le prospettive dei nostri figli). Non solo è possibile che l'affrancamento dell'italiano medio vada posticipato (e questa valutazione dipende da considerazioni metodologiche), ma è anche chiaro che tale giorno ha un significato diverso per chi opera nel privato e per chi opera nel pubblico, per chi sta in una regione che dà più di quanto non riceva oppure per chi sta in una regione favorita dai meccanismi ridistributivi. Quanti hanno esaminato nel dettaglio i conti di tanti liberi professionisti, piccole imprese e artigiani sono arrivati alla conclusione che spesso lo Stato assorbe più del 70% della ricchezza. Il che significa che per molti nostri connazionali la liberazione dalla sanguisuga di Stato arriverà solo a settembre e che anche durante l'estate essi dovranno lavorare per il Leviatano. Quando ci si confronta con simili dati vengono immediatamente alla mente talune analisi di Gianfranco Miglio, persuaso già molti decenni fa che l'Italia si trovasse in una situazione disastrosa: con un numero di produttori sempre più piccolo e una platea di soggetti improduttivi sempre più vasta. La sua teoria del parassitismo fu proprio elaborata al fine di evidenziare come, oltre un certo livello, nessuna economia possa reggere. In queste ore, Paolo Gentiloni e Carlo Padoan paiono inebriati da un dato previsionale che innalza di qualche frazione di punto la «non crescita» dell'economia italiana. Dovrebbero invece focalizzare l'attenzione sui dati strutturali e, in particolare, su questa pressione fiscale esorbitante, che toglie respiro a quanti lavorano, spinge a emigrare e delocalizzare, impedisce risparmio e capitalizzazione, ruba la speranza ai giovani. Un Giorno di Liberazione Fiscale a giugno, nell'ipotesi che i calcoli della Cgia siano validi, ci descrive una popolazione italiana asservita.
Quando e lo fu per secoli la pressione fiscale rimase sotto il 10%, alla peggio ci si sganciava dallo sfruttamento di Stato ai primi di febbraio. Allora si era più liberi e quindi si poteva crescere. E da questo bisogna dedurre che se non si cambia con decisione la rotta, non ci può essere alcuna possibilità di avere un futuro.
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