"Con ogni tempo": così si addestra un paracadutista

In qualsiasi condizione metereologica e in qualsiasi scenario, un soldato della Folgore è sempre pronto all'impiego. Sa che al suo fianco non c'è solamente un soldato, ma un fratello sempre pronto a salvarti la vita

"Con ogni tempo": così si addestra un paracadutista

Il piazzale interno della caserma è un via vai di mezzi. La pioggia provoca un leggero ticchettio sui tetti dei VTLM. Gli uomini dell’XI compagnia "Peste" sono insolitamente tranquilli. Si stanno preparando per compiere un’esercitazione esterna, ovvero stanno per ricreare uno scenario il più possibile simile a una situazione di guerra.

"Copriti il collo". Inizia con queste parole, dette con brusca dolcezza, il nostro viaggio verso Monticiano, dove inizieranno le esercitazioni. Succederà spesso durante questa missione notturna: i soldati si guardano le spalle l’uno con l’altro. Si consigliano. Stanno attenti ai più piccoli dettagli.

Mentre ci avviamo verso i boschi incappiamo in un masso posto sulla strada. Un caso? O è un’imboscata? Altri 50 metri, altri due sassi. Poi i colpi degli spari. Il rallista prova a fare fuoco, ma niente. In un attimo i paracadutisti escono dal bosco, controllano uno per uno tutti i mezzi. Una volta bonificati, posizionano una piccola luce cilindrica blu sul cofano. È tutto sicuro.

Ci avviamo con loro verso i sentieri della Montagnola Senese. Tutto intorno a noi è buio. Non si vede nulla. I paracadutisti non usano visori notturni. Piove, la visione sarebbe peggiore. Ci viene detto di seguire Alpha 2 e così facciamo. Non possiamo confidare nella vista, ma solo nel leggerissimo rumore provocato dai passi di chi ci sta davanti. Proseguiamo così per un’ora. Pausa. Controlliamo che tutto stia andando per il meglio. Qual è la nostra posizione? Ci siamo forse persi? No, siamo esattamente dove dobbiamo essere.

Riprendiamo il cammino. Abbandoniamo il sentiero e pieghiamo verso il bosco. Qui camminare è molto più difficile e la pioggia comincia a scendere con sempre maggior forza. I paracadutisti iniziano a organizzare il bivacco. Una parte di loro rimarrà qui tutta notte, a pianificare il colpo di mano che avverrà alle prime luci del giorno. Un’altra, invece, passerà la notte a perlustrare le zone più vicine alla base nemica, verso la quale ci avviamo per poter ripararci un po’.

"Svegliati, è ora". Mi sveglia così il capitano Ciracì. Sono le 6.00 di mattina. Abbiamo dormito circa 5 ore su un tavolaccio di legno. Qualità del sonno: ottima. La stanchezza a volte fa miracoli. Ci prepariamo all’attacco dei paracadutisti. Proviamo a girare attorno alla base, ma di loro nessuna traccia. Eppure dovrebbe essere qui. Rientriamo. All’improvviso si sentono i primi colpi. Si avviano verso la base. Eliminano ogni elemento pericoloso. Entrano. Sparano. Bonificano l’intera zona.

Riprendono subito la marcia e noi con loro. La pioggia è sempre più fine. I boschi sempre più bagnati. Ci aspettano altre due ore di cammino per raggiungere il punto dove verremo raccolti dall’elicottero. Camminiamo. Davanti a noi ancora Alpha 2. Silenzioso. Concentrato. Poche pause. Marciamo spediti verso la nostra meta. Al più piccolo rumore i paracadutisti si dividono e si posizionano nei luoghi migliori per tutelare la nostra sicurezza. Sono ormai gesti meccanici, imparati grazie a ore e ore di addestramento. Sono gesti che in Afghanistan o in Irak ti permettono di portare a casa la pelle.

Camminiamo. Manca poco. Una piccola pausa, il tempo di organizzarci e di tirare fuori gli elmetti, poi il rumore delle eliche. Stanno arrivando. La missione è quasi conclusa. Viene lanciato un fumogeno sul campo per segnalare all’elicottero il punto di atterraggio. Le eliche sparano sassi, erba e sterpi. Ci avviamo il più velocemente possibile a bordo dell’NH90. Siamo dentro. L’esercitazione è conclusa. Tutto è andato per il meglio. Ci stacchiamo da terra. I portelloni sono ancora aperti.

Guardo i volti dei ragazzi che ho davanti. La mimetizzazione dipinta sul viso è ormai sbiadita. Il suo posto è stato preso dai segni della stanchezza e del freddo. Sorridono.

Sanno di aver fatto il loro dovere. Sanno che tutto è andato per il meglio. Sanno anche che, però, qualcosa si può ancora migliorare. E ripartiranno così per nuove esercitazioni. E riproveranno gli stessi movimenti. E si sentiranno ancora più fratelli.

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