Massimo Bossetti, condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio, ha denunciato i magistrati di Bergamo per depistaggio. Lo rivela il sito Dagospia rilanciando l'esclusiva del settimanale Oggi, in edicola giovedì 10 giugno. "Presenteremo il quarto ricorso in Cassazione", ha annunciato l'avvocato Claudio Salvagni, uno dei due legali del muratore di Malpello.
"Presenteremo ricorso"
Stando a quanto trapelato nel primo pomeriggio di mercoledì 9 giugno, il depistaggio riguarderebbe presunte anomalie relative ai reperti e ai campioni di Dna che, se dimostrate, sarebbero di "estrema gravità". Dopo che per tre volte la Cassazione ha dato ragione a Bossetti, ritenendo che i suoi difensori debbano avere acceso ai cosiddetti "scartini", il 3 giugno scorso, la Corte d'Assise di Bergamo ha opposto l'ennesimo rifiuto alla richiesta degli avvocati di accedere ai campioni. "Presenteremo il quarto ricorso in Cassazione", ha annunciato dalle pagine di Oggi il difensore Claudio Salvagni.
La richiesta dei legali
Lo scorso 26 maggio, la Corte di Cassazione aveva accolto l'istanza della difesa di Massimo Bossetti che aveva chiesto di poter aver accesso ai reperti ritenuti di "secondaria importanza" nel processo di condanna all'ergastolo per il delitto della giovane ginnasta bergamasca. Trattasi di quelle prove che la Procura definisce "scartini" ma che, secondo i legali del 51enne, avrebbero potuto giocare un punto a favore del loro assistito. La decisione era stata rimandata alla corte d'assise di Bergamo che, in data 3 giugno, ha bocciato di netto la richiesta degli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini. Se accolta, l'istanza avrebbe potuto ribaltare la sentenza definitiva del caso aprendo a una eventuale revisione del processo.
La prova che inchiodò Bossetti
La colpevolezza di Massimo Bossetti fu dimostrata dalla sovrapponibilità del Dna nucleare con quello di "Ignoto Uno", rilevato sugli indumenti intimi di Yara e ritenuto dall'accusa l'unico riconducibile all'assassino, oltre che per la posizione, perché riscontrato nella zona colpita da arma da taglio sul corpo della giovane vittima.
Per contro, gli avvocati del 51enne hanno sempre sostenuto che il Dna mitocondriale minoritario appartenga a un altro individuo, definito per convenzione "Ignoto 2". Per questo motivo, a più riprese, i legali Salvagni e Camporini hanno chiesto una revisione del processo puntando ai residui della traccia 31G 20 ritenuta la "prova regina" nel corso del processo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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