Il papà di Fortuna: "La giustizia sia implacabile come l'ho subita io"

Parla Pietro Loffredo, papà di Fortuna, che chiede giustizia per sua figlia

Il papà di Fortuna: "La giustizia sia implacabile come l'ho subita io"

“Implacabile. Si dice così? “Con me lo Stato non ha voluto sentire ragioni, mai. E mi ha fatto scontare fino all’ultimo giorno di pena. Sono stato a Poggioreale, Isernia, Roma, e anche a Lanciano e Fossombrone. Mi sono girato tutte le carceri d’Italia”. A parlare è Pietro Loffredo, 40 anni, padre di Fortuna, la bimba di Caivano gettata dal balcone dal pedofilo che la perseguitava, che ora chiede ai magistrati di essere altrettanto implacabili con “chi ha commesso un delitto mille volte più grave del mio”.

Loffredo ha trascorso dieci anni dietro le sbarre per contrabbando di sigarette e vendita di cd scaricati abusivamente da Internet. Una vita tormentata la sua con un’infanzia trascorsa tra i vicoli bui del centro di Napoli, la prigione e la separazione della prima donna. Pietro, ora, pretende la verità. “Non voglio il nome di un colpevole – dice - tanto per chiudere il caso e far lavorare voi giornalisti. Io voglio sapere tutto ciò che c’è ancora da sapere”. “Voglio – prosegue - che i giudici accertino se l’assassino ha fatto da solo, e io non credo affatto che sia così; se c’è stato chi l’ha aiutato o chi lo ha coperto. E perché ha ucciso Fortuna”.

Pietro spiega che tutti sapevano che “in quel palazzo c’era l’inferno” perché lì c’era già stata la morte misteriosa di un altro bambino, “Perché accanirsi contro la mia bambina? Continuo a chiedermi se non sia stata uccisa perché Fortuna ha magari minacciato di raccontare a suo padre tutto quello che aveva subito. E se questo non abbia spinto l’assassino a peccare in quel modo. Ma io cosa potevo fare, dal carcere?”, si domanda il papà affranto per la scomparsa della figlia. “Quando mia figlia è volata giù dall’ottavo piano di quel palazzo, io in carcere non dovevo esserci”, dice rammaricato. Pietro si chiede perché non gli abbiano scalato 11 mesi di carcere come gli sarebbe dovuto spettare dato che aveva fatto il servizio militare.

“Se fossi uscito undici mesi prima – si legge sul Corriere della Sera - avrei potuto stare vicino a mia figlia, parlarle, e forse tante altre cose non sarebbero successe. Io Fortuna ho continuato a vederla ogni tanto anche dopo la separazione. Mi abbracciava forte. Forse voleva dirmi qualcosa...”. “Pietro, spiega Angelo Pisani, l’unico avvocato di Loffredo, non racconta balle. Le cose stanno come dice”. “Il problema, però, è che per ottenere quegli undici mesi in meno avrebbe dovuto presentare un’istanza al giudice di sorveglianza. E invece lui era all’oscuro di tutto.

È rimasto in carcere per ignoranza, come tanti”, dice Pisani. “Se si fosse difeso in tempo, se non avesse inanellato sette condanne senza mai occuparsi delle sue vicende giudiziarie, Pietro sarebbe rimasto in carcere non più di tre anni” aggiunge l’avvocato.

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