"Deve morire in carcere". Santino Di Matteo, il padre del bimbo ucciso dalla mafia su ordine di Totò Riina non ha gradito l'apertura da parte della Cassazione a un differimento della pena per concedere una "morte dignitosa" al "capo dei capi". E in un'intervista a Fanpage si sfoga. "È una cosa vergognosa, perché a prescindere che io, per lui o chi per lui, ho perso un figlio". L'omicidio del bambino, sciolto nell'acido fu deciso da Riina come vendetta trasversale per il tradimento di Di Matteo. A eseguire il delitto fu invece Giovanni Brusca, boss di San Giuseppe Jato, fedelissimo di Riina ed esecutore materiale della strage di Capaci. Di Matteo non usa giri di parole: "Dopo che uno ha fatto uccidere duemila persone... Io non avrei neanche parlato, lo Stato avrei detto 'resti tutto chiuso". E ancora: "Umanamente bisogna curarlo, però di là deve uscire soltanto quando ha smesso di vivere". Di Matteo è però tra gli autori della strage di Capaci. Faceva parte del commando che ha organizzato la strage. È stato il primo collaboratore di giustizia di Capaci: "Io dissi guardate, fermiamo questa macchina da guerra, perché giustamente è così, ma non è che io ho fatto qualcosa e nemmeno Falcone e Borsellino mi avevano fatto qualcosa". Poi l'affondo: "Quando mio figlio era in mano loro non ho smesso di collaborare con la giustizia. Avevo preso una strada da seguire. Quelli che hanno ucciso mio figlio non sono uomini d'onore". Poi parla ancora del figlio: "C'ero arrivato a due passi, questo mi andare il sangue in ebollizione. Io c'ero a due passi e potevo salvarlo sto ragazzino".
Poi lascia spazio ancora ai rimpianti: "Sono arrivato a Chiodo, il vivandiere che si occupava di fare la spesa per mio figlio. Ma abbiamo sbagliato casa. Non lo tenevano lì, Giuseppe era in una vicina. Il destino ha voluto che Giuseppe fosse "il bambino che doveva distruggere la mafia".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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