Papa Francesco ha messo in campo l'ipotesi di vendere le chiese, nel caso questo gesto risultasse utile a fornire ausilio alle persone meno fortunate. La posizione del pontefice argentino, com'è naturale che sia, sta facendo discutere negli ambienti cattolici.
Uno dei pericoli che viene evidenziato riguarda il fenomeno relativo all'abbattimento degli edifici di culto, specie nel nord dell'Europa, seguito dalla sostituzione di luoghi sacri con supermercati e altri "non luoghi". "Bisogna constatare - ha sottolineato il Santo Padre - che molte chiese fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero, o per una diversa distribuzione della popolazione della popolazione nelle città e nelle zone rurali; questo va accolto nella Chiesa non con ansia, ma come un segno dei tempi".
La "Chiesa in uscita", quella promossa dall'ex arcivescovo di Buenos Aires, dovrebbe fare i conti con gli effetti della contemporaneità. Tra questi, anche la concentrazione dei fedeli in pochi edifici destinati al culto. Ecco perché la vendita delle chiese inutillizzate per Bergoglio costituisce un argomento di cui è lecito discutere. La presa di posizione del papa, del resto, è arrivata in una circostanza precisa: un convegno sulle dimissioni di quegli spazi ecclesiastici che risultano essere vuoti. "La dimissione - ha specificato il vescovo di Roma - non deve essere la prima e unica soluzione a cui pensare, né mai essere effettuata con scandalo dei fedeli...". Cessione sì, insomma, ma solo quando non ci sono delle controindicazioni palesi.
Soprattutto perché i beni ecclesiastici per il vertice della Chiesa cattolica "non hanno una valore assoluto, ma in caso di necessità
devono servire al maggior bene dell'essere umano e specialmente al servizio dei poveri". Non deve esistere, in sintesi, una visione secondo cui la carità finisce per divenire subordinata all'attaccamento o ai simbolismi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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