Il «bollettino» dello scorso fine settimana diffuso dal Corpo nazionale di soccorso alpino e speleologico recita un bilancio a dir poco drammatico, con otto morti tra il Monte Bianco e le Dolomiti, riportando in prima pagina la questione della sicurezza in montagna. Nonostante dal 2003 vi sia una legge specifica sulla pratica non agonistica degli sport invernali, quella degli incidenti sulla neve resta un'emergenza ancora silenziosa e sottovalutata. Eppure numeri restituiscono tutta la grandezza (e la gravità) del fenomeno: nella stagione invernale almeno tre milioni e mezzo di persone mettono gli sci ai piedi, mentre si contano 35-40mila infortuni all'anno. Fatte le dovute proporzioni, le statistiche suggeriscono che il problema non dovrebbe essere trattato diversamente da quanto fatto con le vittime della strada. Da anni gli operatori del settore, maestri di sci e guide alpine, sono impegnati in campagne di sensibilizzazione per promuovere comportamenti ispirati a prudenza, buon senso, rispetto della propria incolumità e di quella altrui. E invece chiunque abbia frequentato una qualsiasi località di villeggiatura nel nostro Paese avrà potuto constatare come il fascino del «circo bianco» spesso si riduca solo a un «circo» molto pericoloso. Sciatori e snowboarder della domenica che si lanciano a velocità folli, segnaletica datata o inesistente, regole di sicurezza sistematicamente violate, per non parlare di chi si avventura in quota senza l'allenamento e l'equipaggiamento adeguato. Come fare per mettere un freno, non solo in senso metaforico? Da tempo si chiede di estendere l'obbligo del casco anche ai maggiori di 14 anni. Evidentemente, non basta. Allora l'idea che a prima vista può sembrare una provocazione forse non lo è affatto: prevedere un «patentino» per chi si arrampica in vetta non accompagnato da guide esperte e per chi va sugli sci, i quali sono dei «mezzi» a tutti gli effetti e richiedono competenze e prescrizioni specifiche, specie se si pensa al «fuoripista». Come corollario, si potrebbe chiedere ai frequentatori della montagna di partecipare periodicamente a controlli di salute, oltre a corsi di formazione e di aggiornamento sulle precauzioni. Anche le più banali, considerando che per evitare tragedie basterebbe consultare le previsioni meteo. Azzardando un parallelo, proprio come avviene per chi va in mare: un principio cardine, lo sa bene chi consegue la patente nautica. Questo weekend era segnalato pericolo «forte» di valanghe dalla Valle d'Aosta all'Alto Adige. Tutto inutile.
Posto che a sciare si va per rilassarsi e che in Italia non c'è affatto bisogno di altra burocrazia molesta, il rovescio della medaglia esiste: è difficile far rispettare le regole in pista e qualsiasi limitazione avrebbe conseguenze negative per il turismo.
Ma qualche punto percentuale alla voce ricavi potrebbe essere tranquillamente sacrificato in nome di una montagna più divertente e più sicura per tutti. In compenso, si risparmierebbe un prezzo molto caro in famiglie rovinate e vite umane perse.
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