Con tutti i guai che ha l'Italia, è tragicomico lo spazio che ancora viene dedicato allo psicodramma del Pd, con le sue beghe fra minnitiani e martiniani, zingarettiani e calendiani, personaggi che insomma, con tutto il rispetto, non è che siano proprio dei Togliatti e dei Berlinguer, ma nemmeno dei D'Alema. Eppure c'è qualcuno, nei giornali, che pensa che al bar non si parli d'altro. E invece ci sbaglieremo (ma anche no), però pensiamo che al vedere certe aperture di prima pagina e certi grafici con le percentuali delle varie correnti in vista del congresso, la stragrande maggioranza degli italiani, per non dire tutti, reagisca ormai con il leggendario grido mandato in onda nella rubrica «la carta costa» dai formidabili Alessandro Milan e Leonardo Manera: «Ma chi se ne frega!».
«Eutanasia di un partito», ha titolato ad esempio Repubblica, ma forse più che di eutanasia bisognerebbe parlare di lenta, lunghissima agonia, perché sono anni che siamo qui con il tormentone della crisi del Pd. Ecco, anni. Quanti anni? La verità è che la crisi del Pd non dipende dai suoi leader di oggi (e neppure da quelli di ieri e dell'altro ieri), ma ha un'origine che si fa sempre finta di scordare. E l'origine della crisi del Pd è semplice: quel partito è un Pci che ha cambiato nome e ragione sociale, cosa che si può anche fare, ma ha pure cambiato l'anima, che invece non si può fare. Il Pd è l'erede del Pci, e il Pci non era neanche un partito, era una Chiesa, con la sua fede, i suoi dogmi. Il comunismo era una religione. Qualcuno era comunista - cantava Gaber - perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio. E a un certo punto il comunismo, non in Italia ma in tutto il mondo, ha dovuto portare i libri in tribunale perché il sogno sarà stato anche bello («dare a ciascuno secondo il suo bisogno») ma irrealizzabile; ha dovuto dichiarare fallimento perché ovunque, per dare il potere al popolo, si è finito con il dare strapotere alla polizia e ai tribunali speciali.
E così il comunismo è finito perché le religioni non si possono riformare nei loro dogmi, sarebbe come se la Chiesa cattolica dicesse che Gesù non è risorto, ma sta solo un po' meglio. Invano prima il Pds, poi i Ds, poi il Pd hanno provato a trasformarsi. Alla fine, dei vecchi ideali non è rimasto più niente, si è passati a un po' di buonismo, un po' di politicamente corretto, un po' di battaglie sui «diritti civili» perché - come aveva previsto Del Noce - il Pci è diventato un grande partito radicale di massa. L'unico che ha provato davvero a cambiare quel partito è stato Renzi, ma il suo Pd non c'entrava nulla con quello del passato: infatti Renzi veniva da tutt'altra cultura (un cattolicesimo di centrodestra, non dossettiano, non prodiano) e infatti ora, probabilmente, se ne andrà per fondare una cosa tutta sua.
Ecco perché quel partito sta morendo. La modestia dei suoi attori attuali non è la causa della crisi, ma l'effetto. Il Pd di oggi è così conciato e soprattutto privo di anima da fare rimpiangere, perfino a noi, il vecchio Pci, quello dei Peppone che costruivano le Case del popolo annunciando che dentro ci sarebbe stata anche «una biblioteca con dei libri».
Sì, il vecchio Pci che non avremmo mai voluto al governo ma che un suo ruolo lo aveva, perché come diceva un feroce anticomunista come Edgardo Sogno «guai se non ci fossero i comunisti: nessuno frenerebbe più l'ingordigia dei capitalisti». Però, quindi, in fondo un miracolo politico i dirigenti del Pd di oggi l'hanno compiuto: quello di farci rimpiangere il Pci.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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