Il peccato originale della super-spesa nascosta

La portata del caos sul Superbonus è di dimensioni straordinarie.

Il peccato originale della super-spesa nascosta

La portata del caos sul Superbonus è di dimensioni straordinarie. Sono a rischio i conti pubblici, che Giorgia Meloni considera la priorità. Ma, nello stesso tempo, il cambio delle regole in corso crea una situazione inaccettabile. Questa è la stretta strada su cui deve cercare di avanzare il governo. Lo si comprende via via in questi giorni, dopo il decreto che ha bloccato la cessione dei crediti fiscali. In ballo non c'è solo un buco di almeno 110 miliardi. C'è molto di più. Sono in discussione i saldi di finanza pubblica degli ultimi tre anni, dal 2020 al 2022. Anni in cui il meccanismo fiscale che permetteva l'erogazione del bonus ha rappresentato una spesa pubblica che non è stata conteggiata. Con il risultato che i deficit di bilancio dichiarati in quel triennio andranno corretti in peggio. Una revisione che evoca addirittura le peggiori situazioni di altri Paesi dell'eurozona nel recente passato. Anche se in un ordine di grandezza più contenuto, 2-3 punti percentuali di deficit/Pil per il 2021 e '22. Lo ha fatto intendere il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, costretto a intervenire per evitare che il riconteggio del deficit, applicato al 2023, vanifichi tutti gli sforzi fatti finora dal governo per rimanere nei parametri europei. Obbligandolo a tagliare i sostegni pubblici varati per contenere gli effetti del caro energia. Non a caso la gravità della situazione sarebbe stata condivisa dal governo, prima del varo del decreto, con la Presidenza della Repubblica.

A questo punto la domanda da farsi è «di chi è la colpa»? A chi intestare questa pesantissima eredità, di cui il governo di Giorgia Meloni avrebbe fatto a meno? E allora bisogna fare qualche passo indietro. «Ora bisogna riparare al malfatto», disse in Senato Mario Draghi il 20 luglio scorso, nel giorno delle sue dimissioni. Aggiungendo che «il problema non è il Superbonus, bensì i meccanismi di cessione: chi li ha disegnati senza discrimine e senza discernimento, lui o lei o loro sono i colpevoli». Riferimento pacifico al governo Conte, quello giallo-rosso, che varò il Superbonus dopo la pandemia. Un provvedimento che aveva il pregio di mettere il settore dell'edilizia al centro della ripresa economica; ma che conteneva al suo interno un germe in grado di mandare all'aria le finanze pubbliche. Sia per la dimensione (addirittura oltre il 100%) del credito fiscale; sia per la possibilità illimitata di cederlo, che lo ha reso equivalente a una creazione di moneta fuori controllo. Il problema sta dunque alla fonte, in quel misto di demagogia politica e incompetenza tecnica capace di creare danni straordinari.

Dopodiché i danni si creano sempre anche quando si cambiano le regole in corsa. Difficile non condividere l'ansia degli «esodati» del Superbonus, imprese e famiglie che sono l'anello debole della catena. In questo senso chi nella maggioranza di governo critica il decreto lo fa per sollevare il tema della tutela dei più fragili.

Sono le stesse forze che in passato hanno sostenuto il Superbonus senza furore ideologico. Ma solo per gli effetti positivi per il mondo delle imprese. Perché chi ha lavorato onestamente ha ora diritto di ottenere quello che gli spetta.

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