La ricerca sui virus può comportare effetti imprevisti. E quindi sarebbe meglio evitare proprio opere d'ingegnerizzazione sui patogeni. Il senso delle dichiarazioni di Richard H. Ebright è più o meno questo. Non parliamo di uno scienziato qualunque, ma di un biologo molecolare di chiara fama internazionale. Uno che ha studiato anche ad Harvard e che ora dirige un laboratorio di tutto rispetto negli Stati Uniti, oltre ad insegnare biologia chimica all'Università. Il fatto è - dice il docente - che i virus possono essere equiparati alle "armi biologiche". E già questo è un punto di vista che può far discutere gli ambienti. Ma il cuore del ragionamento di Ebright è un altro, e verte tutto sul rapporto tra l'uomo e le sperimentazioni.
Perché ci siamo imposti di dover fare esperimenti sui virus? Chi ce lo fa fare? E soprattutto: il "gioco" vale la candela? I quesiti circolano da quando il nuovo coronavirus è comparso sulla terra. Prescindendo dall'origine del "cigno nero", la questione rimane attuale. Se non altro perché siamo entrati in una sfera dove gli accadimenti. tanto quelli del presente quanto quelli del futuro, non sono pronosticabili. E allora Ebright, che è stato intervistato dal quotidiano La Verità, non la fa tanto lunga e non presenta neppure dubbi di sorta su cosa sia meglio fare per tutti: "Persone che hanno ricevuto centinaia di milioni di dollari negli Stati Uniti per sostenere ricerche, ad alto rischio e senza risultati utili, per la sorveglianza dei virus, e che oggi chiedono in aggiunta altri miliardi di dollari per ricerche sulla sorveglianza dei virus ad alto rischio e senza benefici, omettendo la conclusione che queste ricerche non producono nessuna informazione utile per prevenire le pandemie, sono una motivazione forte...". Di base, insomma, ci sarebbero due elementi: tutte queste ricerche non sarebbero poi così determinati; l'economia farebbe la voce grossa, tanto da scavalcare persino il buon senso. Dove per "economia" va inteso il giro grosso che contorna questa storia della sperimentazione sui virus.
Durante questa fase pandemica, si è tornati a discutere dell'origine del Sars-Cov2. Le dichiarazioni della dottoressa Li Meng Yang hanno già fatto il tour del mondo. Presenterà le prove - ha detto - del fatto che il Sars-Cov2 derivi da un laboratorio. Nello specifico: da quello di Wuhan. E si vedrà se e quali prove verranno a galla. Comunque sia, Francia, Cina e Stati Uniti sono le tre nazioni più avvezze alle opere di sperimentazione. Le pratiche per chi Ebright dice che sarebbe meglio volare basso. Non si sa mai:"Prima dell'epidemia - ha dichiarato lo scienziato alla fonte sopracitata - , tutti i coronavirus eccetto quelli della Sars e della Mers erano trattati a livello di biosicurezza P2 (BSL-2).Come risultato, i coronavirus dei pipistrelli al Centro di controllo e prevenzione e all'Istituto di virologia di Wuhan usualmente erano raccolti e studiati al livello BSL-2 che prevede solo minime protezioni contro le infezioni per il personale di laboratorio, invece dei più alti livelli di biosicurezza richiesti per un lavoro sicuro nella raccolta, nella coltura e nell'isolare i virus e nell'infettare cavie animali con un agente che abbia le caratteristiche di trasmissione di quello dell'epidemia. Questo costituisce un alto rischio di infezione accidentale di un addetto al laboratorio e, dall'addetto di laboratorio, del pubblico...". Perché rischiare? Questa, in poche parole, è la domanda delle domande. Quella cui Ebright risponde in maniera palese, con un secco non rischiare proprio.
Stando alle considerazioni dello scienzato, giusto per fare un esempio, sarebbe stato meglio se il laboratorio di Wuhan non fosse stato mai aperto, nel senso di creato. E questo sarebbe vero a prescindere dall'origine del nuovo coronavirus: "Gli incidenti di laboratorio con potenziali agenti pandemici sono comuni.
In tutto il mondo", ha chiosato lo scienzato che vorrebbe separare un'equazione - quella sì, con certezza divenuta naturale - : la stessa che accomuna virus e ingegnerizzazioni (o manipolazioni) umane.
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