Anche se a prima vista può sembrare assurdo, in virtù di una decisione europea l'Irlanda deve incassare da Apple una grande quantità di tasse, ma non vuole farlo. La cifra è enorme, perché si tratta di circa 14 miliardi di euro: considerato che l'Eire ha meno di 5 milioni di abitanti, quella somma equivarrebbe facendo riferimento alla maggiore stazza dell'Italia a risorse intorno ai 180 miliardi. Una massa gigantesca di denaro, con cui a Roma il governo gialloverde potrebbe davvero realizzare per intero quel programma che, invece, è destinato restare solo sulla carta, in ragione dell'incapacità di ridurre le spese.
Tutti masochisti, a Dublino? Proprio no. Chi conosce in che modo gli irlandesi hanno vinto la loro battaglia contro secoli di fame ed emigrazione sa bene che molto se non tutto si deve alla loro capacità di attrarre imprese grazie a una fiscalità contenuta. Come ha riconosciuto perfino il manifesto, l'importanza di questa vicenda è legata al fatto che «riguarda un Paese che ha costruito il proprio successo economico sul fatto di essere una porta d'accesso a bassa tassazione per le multinazionali in Europa».
Questa Europa sempre più lontana dagli europei ha quindi sbagliato pure in tale circostanza. Così com'è incapace di comprendere che gli ungheresi sono diversi dai parigini, che i polacchi non possono essere trasformati in danesi, ora Bruxelles sembra non vedere che la «tigre celtica» è divenuta tale con un Pil pro capite molto superiore a quello italiano proprio perché ha abbassato le sue imposte.
Il conflitto non è allora tra difensori della giustizia e biechi evasori, ma tra un Paese che ha imboccato con successo la strada della riduzione dei tributi (favorendo l'arrivo di molte aziende) e chi, invece, continua a spremere imprese e famiglie, facendo dell'intera Europa una delle aree in cui si cresce meno. A Bruxelles non piace l'idea di una concorrenza fiscale tra Paesi e questo perché i soggetti politicamente più forti a partire da Francia e Germania sono del tutto incapaci di limitare le uscite e contenere l'intervento pubblico.
La piccola Irlanda difende la sua strategia liberale dinanzi a
socialdemocrazie che non sanno cambiare. È solo un modesto David con una fionda in mano, ma non è detto che non riesca ad avere la meglio su quell'Unione europea che è ormai, in larga misura, un gigante dai piedi di argilla.
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