Perché lo spread lo paghiamo noi

Perché lo spread lo paghiamo noi

Il meeting annuale del Fondo monetario internazionale, in agenda in Indonesia, a Bali, e che sta entrando nel vivo, promette di ricordare quello drammatico della primavera del 2011. Allora pochi sapevano cos'era lo spread e all'orizzonte si manifestavano i sintomi della crisi greca. Ma fu in quell'occasione che banche centrali e governi misero a fuoco i rischi della prima crisi del debito sovrano nella zona euro. Ora, sette anni dopo, la riunione annuale del Fondo - che vede riunirsi banche centrali, ministri economici, banchieri e autorità per esaminare lo stato dell'economia mondiale - rischia di avere al centro dell'attenzione proprio la crisi italiana: il ministro dell'Economia Tria si presenta all'appuntamento con lo spread in caduta e la Borsa trascinata al ribasso dalle banche.

Non a caso è stato lo stesso Fmi, nel suo outlook emesso ieri proprio per il meeting di Bali, a lanciare l'allarme: ci sono segnali di rallentamento economico globale e in questo contesto un ulteriore aumento dello spread sui Btp (il terzo debito pubblico mondiale, primo in rapporto al Pil) potrebbe portare a un nuovo focolaio di crisi, con possibile contagio per le banche prima, per l'economia poi, con ricadute internazionali. Insomma: un'altra recessione. La causa? La manovra finanziaria del governo italiano, i cui contenuti di massima - eccessivo deficit utilizzato per pensioni e sussidi - vanno nella direzione opposta rispetto alle convinzioni degli economisti del Fondo. E cioè che, in vista di un rallentamento globale, le economie che crescono meno, come la nostra, farebbero bene a mettere fieno in cascina piuttosto che spendere in deficit.

E perché il Fondo è allarmato? Semplicemente perché ricorda a tutti come funziona il meccanismo di trasmissione della crisi dalla finanza, all'economia reale. Funziona pressappoco così: quando i prezzi di attività finanziarie rilevanti come i titoli di Stato scendono, le banche che hanno investito in questi titoli vedono ridursi il loro capitale. I titoli valgono meno, il mio capitale vale meno. E il capitale è importante: le banche operano secondo il «regime di Basilea», cioè un accordo che impone che dietro a ogni euro prestato alle imprese ci sia sempre la disponibilità di una certa quota di capitale. Quindi, in conclusione, se il capitale scende, la banca deve per forza ricostruire il rapporto richiesto da Basilea. E per farlo riduce i prestiti alle imprese. Richiama i crediti. Chiude i rubinetti. L'alternativa sarebbe aumentare il capitale, ma le banche italiane sono appena uscite da questa stagione e non senza morti e feriti (Banche venete, Etruria, Marche e altre). Ecco perché lo spread che sale non è una semplice minaccia politica come ci ripetono Di Maio e Salvini. Ma è l'anticamera di una nuova recessione. E del rischio di nuove crisi bancarie.

Il Fondo monetario è un'organizzazione internazionale dove lavorano economisti di tutto il mondo e che può impiegare le sue ingenti risorse, messe a disposizione da tutti gli Stati nazionali, per sostenere, a determinate condizioni, i Paesi in difficoltà. Il Fondo non fa politica, anche se le sue raccomandazioni possono non piacere a chi invece la fa. Per i Paesi europei l'Fmi è uno dei tre soggetti della Troika, insieme con Bce e Ue.

Per questo il meeting annuale di questi giorni sarà un'occasione determinante, per il governo italiano e per il ministro Tria, per spiegare la manovra e capire fino a che punto l'Italia si potrà spingere senza andare incontro a conseguenze finora impensabili.

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