A 50 anni dalla strage di piazza Fontana, Adriano Sofri sulle colonne del Foglio rievoca quelle tragiche ore alla questura di Milano e chiede di riaprire il caso sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Quest’ultimo si trovava nella stanza del commissario Luigi Calabresi al quarto piano della questura di Milano quando precipitò dalla finestra, morendo poco dopo all'ospedale Fatebenefratelli.
Secondo Sofri, infatti, manca un tassello determinante che potrebbe stravolgere la storia ufficiale. "Com'è molto noto, in questo giorno di cinquant'anni fa, a Milano fascisti e nazisti forti della complicità di poliziotti della questura e degli Affari Riservati compirono una strage di innocenti di cui andarono e vanno fieri. Durò poi tre giorni nella questura milanese la laica passione dell'anarchico Pino Pinelli. Saranno pieni di pensieri, questi tre giorni", ha scritto Sofri nella rubrica “Piccola Posta”.
Ma non basta. Quest’ultimo, il giorno seguente sempre su Il Foglio, ha scritto di aver ascoltato una notizia interessante alla trasmissione di Radio radicale sull’incontro “Giornata di studi sulla strage di piazza Fontana” dal titolo “Noi sappiamo, e abbiamo le prove”, organizzata dall’Archivio Flamigni tenutosi all’Università la Sapienza il 4 dicembre scorso. Nel corso del dibattito era presente anche Valitutti, allora 20enne, che quella notte si trovava seduto nel salone comune ad aspettare che Pinelli uscisse dalla stanza del commissario Calabresi.
Valitutti, prendendo la parola, ha affermato che dal suo posto“vedeva perfettamente la porta dell’ufficio del dottor Allegra, capo della sezione politica della questura, e la porta dell’ufficio del dottor Calabresi”. Sofri scrive che “circa 15-20 minuti prima della mezzanotte il silenzio venne rotto da rumori nell’ufficio di Calabresi, come di trambusto, di una rissa, di mobili smossi ed esclamazioni soffocate. Poi un incredibile silenzio”. Che nei minuti precedenti “nessuno era uscito dall’ufficio e tantomeno entrato in quello di Allegra”. Che a mezzanotte udì “un tonfo, che non ho più dimenticato e che spesso mi rimbomba”. Che “un attimo dopo ho sentito uno smuoversi di sedie e passi precipitosi”. Che “due sbirri si sono precipitati da me e mi hanno messo con la faccia al muro”. Che subito dopo è arrivato Calabresi e gli ha detto: “Stavamo parlando tranquillamente, non capisco perché si è buttato”.
L’ex fondatore di Lotta continua poi fa una lunghissima disquisizione su quanto accaduto nel corso di quella notte e anche nei giorni seguenti affermando che “si erano dimenticati di dirvi che il 12 dicembre, e il 13 e il 14 e il 15, nella Questura di Milano c’erano gli Affari Riservati. Non un dettaglio” e che sostanzialmente sulla vicenda “esiste un segreto di Stato e segreti di cui non si riesce a immaginare l’origine e il movente”. Ombre che avrebbe in qualche modo avrebbero ammantato la vicenda con un velo oscuro.
Accuse, ipotesi e supposizone che non sono state gradite dal direttore de La Verità Maurizio Belpietro che ha risposto in modo duro e deciso a Sofri.“Ma a un condannato- ha esordito Belpietro dalle colonne del giornale da lui diretto- per l’omicidio di un commissario di polizia, che per meriti giornalisti ha ottenuto vari benefici, compreso quello di passare una parte della pena ai domiciliari, è consentito di diffamare a mezzo stampa lo stesso commissario di polizia che ha contribuito a far ammazzare?”.
Duro infine anche il commento di Mauzio Gapsarri: "Che schifo, tutto partì da lì e Sofri ha il coraggio di fare lo 'storicò su il Foglio, lui condannato per l'omicidio Calabresi. Ma che vergogna. Non ho parole...”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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