Un prevedibile schiaffone all'establishment

Lasciar immaginare che Brexit fosse inimmaginabile nelle sue cause, sorprendente nella sua attuazione ed imprevedibile nei suoi effetti, lo trovo dilettantesco. Si sarebbe potuto supporre che qualche elemento nuovo avrebbe potuto modificare l'atteggiamento britannico (io stesso non ci avevo creduto e avevo previsto che all'ultimo momento la Regina personalmente sarebbe (...)

(...) intervenuta per il Remain), ma insistere sulla imprevedibilità (soprattutto se si è «esperti») ce la dice lunga sulla lungimiranza dei nostri osservatori addetti ai lavori. Forse fatichiamo a rendercene conto perché l'exit è avvenuta nella maggior piazza finanziaria europea e senza ragioni a noi evidenti (non erano nell'euro), ma le ragioni che hanno ispirato Brexit sono vive in quasi tutti i Paesi europei: gran parte della popolazione europea non ne può più, ed è diventata anti quel sistema ed anti quell'establishment che ha mal gestito tutti i problemi conseguenti la crisi che si evidenzia nel 2008, ma ha anche ignorato nuovi problemi che progressivamente crescevano.

Se riflettiamo su quanto è accaduto recentemente nel nostro Paese «sorprendendo» con il risultato politico delle Amministrative, ci si domanda se fossero state un referendum equivalente a quello nel Regno Unito, che sarebbe successo? Nelle Amministrative hanno trionfato sconosciuti senza nessun programma dichiarato, ci si è chiesti il perché? I grandi esperti tacciano di «populismo» quello che i loro sofisticati cervelli rifiutano di capire, ebbene, nel Regno Unito si è dimostrato che detto «populismo» trionfa oggi, prescindendo dalla sua prevedibilità, aspettative e conseguenze. Ma questo è rifiuto di una classe dirigente, non rifiuto del progetto europeo. Con quale arroganza di potere si poteva ignorare la sequela di errori compiuti per correggere i grandi cambiamenti nei meccanismi di governo nel mondo globale? Si pensi a come si è modificato (male) il ruolo economico dello Stato verso i privati; come (non) son state fatte politiche opportune di ridistribuzione del reddito dal 2008 a oggi; come si è (mal) gestito il problema della occupazione giovanile; come si è (mal) insistito su politiche consumistiche (necessariamente di importazione) verso la necessaria produzione interna; come si è ignorato il problema di salvaguardia del risparmio, tassandolo o mortificandolo; come (non) si son tagliati costi della burocrazia, ma son stati invece tagliati quelli della sanità; come non si è affrontato realmente il problema di crescita economica centrata su vantaggi specifici dei singoli Paesi; come si accetta di farsi ossessionare sul tema debito pubblico e ignorare le tasse altissime; o come si son prese decisioni di assoluta gravità ed insostenibilità per contentare partner europei forti e influenti. Si pensi, per ultimo, a come si è percepita la soppressione della rappresentanza politica democratica, grazie a governi «cooptati». Insomma la trascuratezza egoistica, ed indifferente al bene comune, con cui (non) si son fatti opportuni programmi politico-economico-sociali, hanno creato premesse per una «infelicità» diffusa presso giovani (che non trovano lavoro), presso persone mature (che vedono distrutti o tassati i risparmi), presso gli anziani (che vedono togliere serenità nell'ultima parte di vita, vedendosi sottrarre o ridimensionare sanità e pensione). Cari lettori, è questa sfiducia verso un certo establishment europeo (non verso l'Europa, ripeto) che ha prodotto la Brexit. Ma torniamo alla teoria del cigno nero ed alla imprevedibilità di eventi anche positivi. Il timore Brexit imporrà riflessioni inderogabili a questo establishment che dovrà rivedere necessariamente le sue egoistiche rigidità verso le aree economiche più deboli.

Ora è il momento di rivedere alcuni punti del trattato di Maastricht. Per non star nel vago li enumero secondo importanza: si prevedano contingenti «aiuti di Stato» in circostanze di criticità o di investimenti chiave orientati a creare crescita. Si mettano a punto sistemi di «protezione» del sistema produttivo europeo più vulnerabile verso competitori stranieri che hanno «vantaggi incivili», al fine di riavviare una politica di crescita economica interna che generi domanda di mano d'opera.

Si autorizzi l'emissione di eurobonds per sostenere investimenti in formazione professionale, sulla famiglia, per la soluzione del problema della bad-bank (per noi piuttosto urgente) ecc. Sommessamente mi vien da dire che o si riflette e si agisce in tal senso, o tra poco il referendum lo faremo anche qui, temo...

Ettore Gotti Tedeschi

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