Quanto vale una vita? La cronaca degli ultimi giorni dice: pochissimo. Quasi nulla. Siamo ancora in bilico sul baratro della pandemia, forse all'uscita del tunnel ma forse no, e in questi ultimi mesi abbiamo sentito di tutto, dall'«andrà tutto bene» a quanto sarebbe cambiata la nostra quotidianità, a quel valore «diverso» che avremmo dato alla nostra esistenza, anche comune, dopo averla scoperta - a livello planetario, e non solo intimamente, personalmente - così fragile e vulnerabile, nonostante il progresso e la tecnologia. Macché. Non è andato affatto tutto bene, e per la vita, specialmente quella altrui, abbiamo, se possibile, ancora meno interesse (che poi ci sia un legame con quello che abbiamo per la nostra, è un altro discorso). Tre fatti diversi svelano il lato della Luna che è rimasto ancora oscuro. Il primo, clamoroso, è quanto emerso dalle indagini sulla strage della funivia del Mottarone: quattordici persone sono morte, e un bambino è rimasto senza la sua famiglia, solo per un calcolo economico, indegno e, oltretutto, controproducente perfino nell'ottica del profitto assoluto in nome del quale sarebbe stato realizzato. Si voleva ottenere il massimo da quella funivia, senza cambiare un sistema costoso: ieri sulla Stampa un articolo stimava in 140mila euro il guadagno possibile, anche se nei fatti, in questo mese appena trascorso, la funivia non ha registrato il «tutto esaurito»; quindi, qualche decina di migliaia di euro divisa per tutti i passeggeri (la tragedia sarebbe potuta avvenire in qualsiasi momento), quanto fa, poche centinaia di euro a testa? Decine? Diciamo anche, per eccesso, quei 140mila diviso quattordici: diecimila euro è il valore di una persona? Qualcuno sostiene che l'impianto non fosse stato sostituito perché, con il lockdown, c'erano già state troppe perdite: e allora la scelta qual è, riaprire a tutti i costi, incluso quello (seppur minimo, si è stabilito) della vita altrui? Poi ci sono le conversazioni, intercettate, fra chi versava liquami tossici sui terreni del Nord Italia, e si divertiva a immaginare il bambino che avrebbe mangiato quel mais contaminato... Un geologo, un uomo di scienza, che si bea della sua stessa meschinità, ridacchiando del destino che gli toccherebbe all'inferno (e su questo è difficile dargli torto) ma magari, si spera, pagherà qualcosina anche prima. Anche lì, il valore della vita si scioglie sotto tonnellate di marciume, non solo industriale, ovviamente. Ma così è: altro che solidarietà, altro che il pensiero ai medici, agli infermieri, alle bare di Bergamo, agli anziani morti da soli... Già, morti da soli, come i due bambini e la donna abbandonati sulla spiaggia di Zuwara, in Libia. Cercavano una vita migliore, non hanno trovato neanche le lacrime dei propri cari.
Si dirà che quella che la pandemia potesse «cambiarci» fosse un'illusione piena di retorica ma, quando il cinismo diventa l'unico metro di misura, la realtà supera anche le peggiori previsioni. E non è mai la sorte grama dei cinici a restituire valore a ciò che se lo è visto sottratto.
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