Secondo quanto rivelato da uno studio, i soggetti che hanno avuto il Covid sono protetti per molto tempo perché sviluppano degli anticorpi in grande quantità. La ricerca è stata realizzata durante la prima ondata della pandemia e ha interessato cinque comuni del Trentino, particolarmente colpiti dal virus: Canazei, Campitello, Vermiglio, Borgo Chiese e Pieve di Bono-Prezzo. I cinque territori avevano infatti registrato la più alta incidenza di casi Covid-19 nella prima fase.
Protetti a lungo
Nella giornata di oggi lo studio è stato presentato in videoconferenza dal direttore generale della Prevenzione presso il Ministero della Salute, Giovanni Rezza, alla presenza del governatore trentino Maurizio Fugatti. Rezza ha affermato che sono stati trovati più anticorpi del previsto e anche a distanza di molto tempo. Riguardo all’immunità di una persona a un secondo contagio, ha spiegato: "questo è un dato che ancora non possiamo affermare ma i risultati sono incoraggianti anche per il vaccino in arrivo che, come annunciato, avrà un'efficacia superiore al 90%". Di certo sembra però esserci che i soggetti che hanno avuto il Covid sviluppano in seguito degli anticorpi in grande quantità e che siano protetti da questi anticorpi per lungo nel tempo da un nuovo contagio. Questi i risultati preliminari dello studio dell'Istituto superiore di sanità (Iss) e della provincia autonoma di Trento.
Lo studio in due fasi
La ricerca si è articolata in due fasi di indagine. La prima è avvenuta a maggio e sono state esaminate circa 6.100 persone, a distanza poi di 4 mesi sono state riesaminate quelle che erano risultate positive alla prima indagine.
Come riferito dallo studio, “i risultati della prima indagine, in corso di pubblicazione sulla rivista Clinical Microbiology and Infection, hanno evidenziato che il 23% della popolazione aveva anticorpi contro la proteina nucleocapside del virus Sars-CoV-2. Nella seconda indagine, appena conclusasi, si è osservata una rapida diminuzione degli anticorpi diretti contro questa proteina in una elevata percentuale di individui inizialmente sieropositivi: il 40% dei circa 1.000 ritestati è risultato infatti sieronegativo a distanza di 4 mesi dal primo test. Analizzando gli stessi campioni di siero per un altro tipo di anticorpi, diretti contro la proteina spike, è risultato, invece, che oltre il 75% dei soggetti mostrava ancora una sieropositività".Al fine di capire e spiegare meglio questi risultati, i ricercatori dell’Iss hanno valutato, attraverso un test di sieroneutralizzazione con virus vivo su linee cellulari, la presenza di anticorpi neutralizzanti, per intenderci quelli che proteggono dall’infezione, in un sottogruppo di pazienti. In questo modo si è potuto vedere che "negli esperimenti in vitro, quasi tutti i siero-positivi per gli anticorpi contro la proteina spike sono in grado di neutralizzare l'ingresso del virus".
Paola Stefanelli, primo autore e direttore del reparto Malattie prevenibili da vaccino-laboratori di riferimento, ha spiegato che i risultati dello studio sono importanti per capire la dinamica e la longevità dei vari tipi di anticorpi e la capacità neutralizzante degli anticorpi anti-spike, con importanti implicazioni per l'uso dei vaccini, ancora in fase di valutazione, che si basano su questa proteina di Sars-Cov-2.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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