"Ma quali Forconi, siamo italiani incazz..."

Circa 200 persone occupano piazzale Loreto a Milano. Al grido di "Tutti a casa", se la prendono col governo Letta, con Equitalia, con Napolitano

"Ma quali Forconi, siamo italiani incazz..."

"Ma quali forconi, qui c'è l'Italia incazzata", scandisce una ragazza sul marciapiede iniziale di corso Buenos Aires. Due passi più in là e, su un lenzuolo, la scritta "A piazzale Loreto c'è ancora posto" la dice tutta sulla rabbia dei manifestanti. Non sulle intenzioni violente, però, perché, almeno a Milano, regna la calma. Una rabbia pacifica insomma, testimoniata ancor di più dagli applausi rivolti più volte ai poliziotti: quei caschi tolti davanti ai manifestanti hanno fatto il giro del paese. Sono circa 200 le persone appartenenti al Coordinamento nazionale del 9 dicembre (che raccoglie varie sigle, dai Cobas Latte ai Forconi passando per gli autotrasportatori). Interrompono la viabilità, prima viale Porpora, poi via Costa, poi viale Abruzzi, poi corso Buenos Aires, presidiati dalle forze dell'ordine.

"Bloccheremo piazzale Loreto fino alle 22 di questa sera, vogliamo gridare che ne abbiamo piene le scatole della politica, ne abbiamo le scatole piene anche del Parlamento che tiene in ostaggio l’Italia e di un governo illegittimo, vogliamo fuori dalle
scatole tutti", spiega uno dei leader del movimento, Chowbe De Leo, tecnico informatico di Milano. Un messaggio in salsa grillina, ma di riferimenti politici loro non ne vogliono. Niente bandiere o simboli partitici, c'è solo il tricolore. Un ragazzo tiene tra le mani la foto dell'ex presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Un altro porta al collo un cartello con scritto: "Vendesi l'Italia, rivolgersi a Letta". Il megafono passa di mano in mano. Si scandiscono cori contro il governo, contro Equitalia, contro Napolitano. Una donna, di circa 50 anni, ha chiuso il negozio di tatuaggi lì vicino, ha due figli da mantenere, ma ha scelto di prendere parte alla protesta: "Io chiudo, oggi non guadagnerò, ma bisogna far qualcosa perché non se può più, io pago il 62% di tasse, sono socia dello Stato!". Le fa eco un'altra donna, anche lei ha abbassato la cler: "Ho messo un cartello con scritto: "Chiuso per manifestazione", ma la verità è che siamo in pochi, siamo un paese di pecoroni, dovremmo scendere tutti in piazza, ma gli italiani sanno solo lamentarsi ma non fanno nulla". Alcuni manifestanti bloccano un camion dell'Amsa, chiedono all'autista di suonare e scendere a protestare con lui, che risponde: "Non posso, ma sono con voi". Una signora sulla sessantina si ferma, si avvicina e sciorina una critica costruttiva: "Perché non andate a protestare davanti al Parlamento come fanno in Ucraina? Qui serve a poco". Una trentenne prende il megafono e invita tutti a chiamare i loro amici e a farli scendere in piazza con loro. Un altro se la prende con l'informazione che mostra solo gli scontri delle frange violente, mentre "la nostra è una protesta civile". "Dobbiamo parlare con il nostro lattaio, con il nostro fruttivendolo, con tutte le persone, per confrontarci e cambiare insieme l'Italia", spiega un giovane studente.

"Sono una cittadina italiana e oggi sono qui per rappresentare tutte le persone morte per colpa di questo Stato e che sicuramente sarebbero state qui con noi, sono qui per i miei figli, i nostri figli, dobbiamo urlare a questo parlamento che rivogliamo un'Italia unita perché tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, perché rivogliamo il nostro futuro", scrive Letizia in un cartello attaccato a un palo. Con la speranza che il Paese non resti al palo, come quel cartello.

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