Il Financial Times, che ha una certa esperienza in queste operazioni, racconta che i fondi speculativi internazionali scommettono contro l'Italia, cioè sull'innalzamento dello spread, come non facevano dal 2008. È inutile rammentargli che all'epoca non esisteva neppure lo scudo della Bce e che Mario Draghi non si era ancora inventato lo slogan «whatever it takes», perché la partita vera del foglio dei mercati riguarda le elezioni del prossimo settembre e non quello che avverrà tra qualche mese. Quella notizia nei fatti è un avvertimento, o meglio, un'interferenza sul voto. Un monito agli italiani su chi sceglieranno per governare il Paese.
Un'altra interferenza, di altro colore, è la tattica di Mosca che apre e chiude i rubinetti del gasdotto Nord Stream mandando il prezzo del gas alle stelle. Visto che la Russia bloccando le esportazioni danneggia se stessa, pure quest'operazione ha come obiettivo temporale l'oggi e punta - non bisogna essere dei geni - a creare tensione nell'opinione pubblica alla vigilia delle elezioni. Più o meno come quei pescherecci che in questi giorni partono dalla Cirenaica, cioè la regione della Libia sotto l'influenza di Mosca, con una frequenza maggiore: magari è un modo per favorire l'immigrazione clandestina in Italia a quattro settimane dalle urne. Non sarebbe una sorpresa: nelle stanze del Cremlino si inventano un piano di destabilizzazione al giorno.
Qualcuno ha paragonato le prossime elezioni politiche a quelle del 1948. Ovviamente è un riferimento di comodo per (bi)polarizzare lo scontro, ma che il voto di settembre capiti in una congiuntura particolare e che gli occhi di tutto il mondo siano puntati sul Belpaese è vero. Non si scommette solo in Italia, ma anche al di fuori dei nostri confini. Ragion per cui noi tutti, a cominciare dai protagonisti delle elezioni, dovremmo guardare all'appuntamento avendo un occhio soprattutto per l'interesse nazionale. La campagna elettorale dovrebbe essere depurata dai tentativi di delegittimazione reciproca. Già siamo nei guai e ci manca solo che dopo un anno e mezzo di governo di unità nazionale l'avversario torni ad essere un nemico: il confronto deve vertere essenzialmente sui problemi, sui programmi e sulle terapie. Con pragmatismo e con almeno un pizzico di lealtà: senza evocare una tempesta finanziaria nel caso vincesse l'avversario, perché su quelle parole c'è sempre qualcuno pronto a speculare (si tratti dei fondi hedge o del Financial Times) per fare i beati interessi suoi. Non per nulla uno come Mario Draghi, che sa bene di cosa sono capaci quei mondi, si è subito affrettato a dire che qualsiasi governo, al di là del suo colore, riuscirà a portare il nostro Paese fuori dalle secche. Enrico Letta cominci a prendere nota di questo punto dell'agenda Draghi.
Come pure non ha senso in campagna elettorale ipotizzare un ripensamento sulle sanzioni alla Russia mettendolo in relazione all'aumento del gas. È un ragionamento quasi banale, ma catalizzare il dibattito sull'argomento equivale ad agitare il drappo rosso davanti a quel toro di Putin. Più qualcuno mette in discussione le sanzioni alla Russia e più lo Zar avrà la sensazione che l'«aprire e chiudere» il rubinetto del gas sia una strategia efficace.
Semmai Matteo Salvini si concentri sui modi che ha il nostro Paese, messo a riparo dalla retorica dell'ambientalismo ideologico, per non dipendere sul piano energetico dalla nuova Urss. L'Italia che va alle elezioni può dividersi, pure scontrarsi, ma non deve farsi male.
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