Quei dubbi di Berlusconi sul Rosatellum e su Salvini

L'ex premier apre al Rosatellum ma teme che la Lega al Nord imponga i suoi

Quei dubbi di Berlusconi sul Rosatellum e su Salvini

Quasi svolazzando nell'attraversare uno dei saloni di palazzo Madama, Dario Franceschini dedica un'analisi quasi distratta all'ultima fatica a cui il Parlamento della diciassettesima legislatura si dedicherà per darsi una nuova legge elettorale. «Be' - osserva -, una legge mista proporzionale-maggioritario come il Rosatellum dovrebbe far contento il centrodestra. Non capisco l'interesse del Pd. Con chi si coalizzerà? Il problema si ripresenta... Misteri della politica. Comunque, un conto è presentare una legge, un altro approvarla...».

Uno scetticismo che contagia, solo sul piano formale, il capogruppo dei senatori Pd, Luigi Zanda, che poco più in là dà corpo all'aut-aut: «È naturale che la legge o si approva senza modifiche, evitando, ad esempio, l'ipotesi del voto disgiunto tra proporzionale e maggioritario, e le preferenze; o salta. E a quel punto non resterebbe che l'attuale sistema, il Consultellum». Ma il prendere o lasciare non fa venir meno i dubbi che albergano anche nel Pd. «L'ho detto a Matteo (Renzi, ndr) - è l'analisi di Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria del Pd -: questa legge ripropone al Pd il problema della coalizione; che, poi, si porta dietro la questione del candidato premier, che o si elimina com'è probabile, o è difficile da risolvere senza primarie; in ultimo, se di fronte a un impasse elettorale si rendesse necessaria una carta di riserva, tipo la grande coalizione, una legge del genere la renderebbe molto più difficile». Per cui tanti dubbi, ma il pacchetto di mischia alla Camera a cui Renzi ha affidato il dossier - la coppia Ettore Rosato-Emanuele Fiano - va avanti spedito.

Qualche riserva c'è anche sull'altro versante, quello di Forza Italia. Gianni Letta non manca di far trasparire le sue perplessità, che non sono poche. In effetti tra tanti aspetti positivi qualche ombra c'è. E non sono bazzecole. Un sistema che prevede anche i collegi uninominali, gira che ti rigira favorisce nella trattativa interna all'alleanza un partito come la Lega, che ha una forte concentrazione di voti nelle regioni del Nord, rispetto ad una Forza Italia che i suoi voti li ha distribuiti su tutto il territorio nazionale. Insomma, Salvini potrebbe conquistarsi una sorta di «golden share» nell'alleanza: potrebbe fare la voce grossa sul numero dei collegi che spettano alla Lega, o sui candidati graditi o meno alla Lega. «Dovranno - spiega Paolo Naccarato, un trascorso dc, finito nel centrodestra e che al Senato respira gli umori nei banchi della Lega - genuflettersi più a Salvini, che non a Berlusconi».

Del resto la genesi del Rosatellum bis (così si chiama la legge) è alquanto significativa. La proposta accantonata a primavera è tornata di moda nei colloqui estivi tra Renzi e Salvini (di cui questo giornale ha dato notizia). Con il leader leghista che ha insistito a più non posso con il segretario del Pd, coinvolgendo nel pressing anche quella parte di Forza Italia che gli è più vicina. Ad Arcore è arrivata qualche settimana fa e Berlusconi ha dato il via libera più per non stare a discutere troppo con i suoi, felici per un sistema che determina candidature sicure (qualcuno nel vertice di mercoledì ha addirittura ipotizzato il voto di fiducia per approvarla al più presto), che per convinzione. Anche perché sono in molti ad avere qualche riserva sulle reali intenzioni del segretario del Pd. «Con una legge del genere - confida Renato Schifani - non si capisce con chi si coalizzerà Renzi. Non mi sorprenderei che si trasformasse tutto in un ballon d'essai solo per poter dire: Ci abbiamo provato».

Naturalmente un «ci abbiamo provato» rivolto innanzitutto al Quirinale che ha premuto in queste settimane per avere una legge che lo togliesse dall'imbarazzo di dover scegliere tra l'intervenire con un decreto o meno, per uniformare l'attuale legge elettorale della Camera con quella del Senato. Ma a parte questo, non si capisce quale «ratio» abbia seguito il segretario del Pd. Se Salvini, infatti, è quello che ci guadagna di più; se il Cav è stato lusingato dai suoi con l'idea di evitare le preferenze, di mantenere il simbolo di Forza Italia sia alla Camera sia al Senato (se fosse stato costretto a fare un listone alla Camera con gli alleati, non avrebbe potuto presentarlo) e di adottare un sistema che penalizzi i grillini; ebbene la motivazione per Renzi, a prima vista, appare più complessa. Sembra, infatti, che il leader del Pd ci sia arrivato quasi per caso. Ancora due giorni fa dava ben poco credito alla riuscita dell'impresa. «Io non mi sono imbarcato in questa avventura - spiegava al suo cerchio più stretto -. Mando avanti gli sherpa, tanto vedrete che alla fine Berlusconi la boccerà». L'unica spinta reale a giocare la variabile Rosatellum gli è venuta proprio dall'irritazione che il centrodestra potesse presentarsi nell'ipotesi del Consultellum con un listone unico. Una prospettiva che avrebbe messo a nudo la crisi della politica delle alleanze del Pd. «Al Cav - spiegava nei giorni scorsi l'ex premier - converrebbe fare il Consultellum senza listone. Farsi la sua lista di strasicuri e poi decidere con chi fare l'accordo. Se il mio problema è che il listone del centrodestra arrivi ad avere più voti del Pd? Ma no! Nella formazione del governo contano i numeri dei parlamentari. E io, anche se dovessi, male che vada, fare solo il 25%, avrò il gruppo parlamentare più numeroso, anche perché il Cavaliere non farà mai il gruppo insieme ai leghisti e io non farò mai un governo con Salvini».

Il Rosatellum, invece, gli ha risolto il problema alla radice. In più è un sistema che ha altri tre elementi positivi per Renzi. Intanto sulla carta penalizza i grillini. «È un inciucio contro di noi», tuona da giorni Di Maio. E nei fatti riprende un vecchio progetto studiato da Denis Verdini quando era alla corte del leader del Pd (ora danno lui e la sua ciurma sulla rotta di Arcore). «Ma non va detto - confida il capo dei verdiniani al Senato, Barani - altrimenti qui salta tutto».

Ancora, dà la possibilità a Renzi di giocare in campagna elettorale contro gli scissionisti la carta del voto «utile» e l'accusa di voler far vincere le destre. E, infine, gli offre la possibilità - almeno sulla carta - di scegliere non solo i candidati ma addirittura, senza le preferenze e con i collegi uninominali, gli eletti del Pd del prossimo Parlamento.

Uno strumento che fa gola al segretario del Pd ma che potrebbe rivelarsi il vero tallone d'Achille dell'intera operazione perché rischia di sommare all'opposizione grillina e di Bersani e D'Alema anche le minoranze interne del Pd e quell'area di insofferenti, molto ampia, che alberga nei gruppi parlamentari. Cioè quella stessa alleanza «trasversale» che ha già fatto naufragare nel giugno scorso la legge elettorale sul modello tedesco. «Ma come - si chiede Massimo Mucchetti -, eravamo partiti per abolire le liste bloccate e ne presentiamo due, quella del proporzionale e i candidati nei collegi? E, poi, hanno l'ardire di chiedere a quell'80% di parlamentari che resteranno a casa nel prossimo Parlamento di approvare questa legge? Scommettiamo che non la voteranno mai?». «È un tema - rincara Ugo Sposetti - che non mi interessa: tanto le elezioni siciliane faranno saltare tutto, a cominciare da Renzi».

Già, per far passare una legge che abolisce le «preferenze» e, di fatto, aumenta la percentuale delle candidature sicure in mano ai leader dei partiti (a destra come a sinistra), Renzi, e non solo lui, dovranno promettere qualcosa ai parlamentari che dovranno approvarla o a chi li rappresenta: è la storia di questa legislatura. Perché, appunto, come dice Franceschini, uno degli insofferenti: «...un conto è presentare una legge, un altro approvarla».

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