Quelle infiltrazioni della 'ndrangheta nella sanità calabrese

Si è insediata un'altra commissione d'accesso sulle infiltrazioni nell'Azienda provinciale di Catanzaro, in seguito a un'inchiesta della Dda. Si tratta del secondo caso in pochi mesi

Quelle infiltrazioni della 'ndrangheta nella sanità calabrese

'Ndrangheta e sanità, due parole che stanno bene insieme. È la regola: le mafie si avventano sui settori più redditizi e permeabili; e in Calabria è la sanità a far girare tanti soldi e a non vantare le difese immunitarie giuste. Si calcola che quasi l'80% dei fondi gestiti dalla Regione sia destinato proprio al servizio sanitario. Miliardi di euro assegnati a un settore commissariato da quasi 10 anni, con i conti perennemente in rosso e incapace di garantire i cosiddetti “livelli essenziali di assistenza” ai calabresi.

L'ultima mossa della Prefettura di Catanzaro dimostra, ancora una volta, le mire della criminalità sui servizi di aziende e strutture sanitarie pubbliche.

Ieri si è insediata la commissione d'accesso che dovrà fare luce su quanto avvenuto nell'Azienda sanitaria provinciale del capoluogo calabrese, finita poche settimane fa al centro dell'inchiesta “Quinta Bolgia”, che ha svelato gli affari milionari di ditte in odor di mafia che sarebbero state favorite dai vertici della sanità locale.

L'indagine, condotta dalla Dda guidata da Nicola Gratteri, ha portato all'arresto di 24 persone. Le aziende Putrino e Rocca, secondo l'accusa legate al clan Iannazzo, per otto anni avrebbero gestito il servizio sostitutivo delle ambulanze senza alcuna gara pubblica. Non solo: avrebbero fatto il bello e il cattivo tempo nell'ospedale di Lamezia Terme, entrando a piacimento nei vari reparti con tanto di accesso alle cartelle cliniche dei pazienti.

La commissione inviata dal prefetto Francesca Ferrandino dovrà ora stilare una relazione che potrebbe infine portare allo scioglimento dell'Asp di Catanzaro. Non è un caso isolato: nei mesi scorsi anche l'Azienda provinciale di Reggio Calabria è finita al centro delle indagini dei commissari in seguito al caso del pagamento di stipendi ad alcuni dipendenti condannati per mafia.

Tra loro c'era perfino Alessandro Marcianò, ex capo sala dell'ospedale di Locri condannato all'ergastolo con l'accusa di essere stato il mandante dell'omicidio del vicepresidente del consiglio regionale calabrese Francesco Fortugno.

Fortugno, ucciso il 16 ottobre del 2006 davanti al seggio per le primarie del centrosinistra, era un medico e, attraverso la sua azione politica, aveva tentato di arginare illeciti e corruzione nella sanità calabrese. Dopo la morte del vicepresidente, al suo posto in consiglio regionale entrò Mimmo Crea, arrestato due anni dopo nell'ambito di un'inchiesta dal titolo emblematico: “Onorata sanità”.

Crea è stato poi condannato in via

definitiva a 7 anni e 6 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Per i giudici, era al centro di un «ramificato sistema di gestione affaristica» della sanità. Una storia che in Calabria si ripete sempre uguale.

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