Questione di principio

Quando si parla di persone tratte in salvo mentre tentano di attraversare quel mare di morte che è diventato il Mediterraneo, bisogna usare parole di rispetto e di pietà

Questione di principio

Quando si parla di persone tratte in salvo mentre tentano di attraversare quel mare di morte che è diventato il Mediterraneo, bisogna usare parole di rispetto e di pietà. Sentimenti che fanno parte del bagaglio antropologico e culturale italiano. Ed è davvero un delitto che la solita retorica vuoto-buonista di una sinistra dedita solo alle polemiche politiche dia un'immagine sbagliata del Paese a livello internazionale, facendoci passare per egoisti spietati o addirittura per razzisti. Non è così. Nella vicenda legata alle navi Ong con il loro carico di immigrati a bordo nel porto di Catania c'è tutt'altro. Non c'è neppure il desiderio di una destra populista o sovranista che arrivata al governo vuole marcare la propria identità. Magari è un aspetto che contribuisce, ma non è il nocciolo del problema.

Sono in ballo invece una questione di principio e l'esigenza di mandare un segnale sia all'Africa sia a Bruxelles che qualcosa è cambiato, che l'Italia non vuole continuare nella politica dello struzzo sull'immigrazione, lo stile del Viminale nel governo precedente e ha determinato un'impennata negli sbarchi negli ultimi due anni. Perché se ci si limita ad esorcizzare il tema, a far finta che il dramma del secolo (perché di questo si tratta) non esista, si arriva in un batter d'occhio agli 88.100 sbarchi di quest'anno. Numeri insostenibili per qualsiasi Paese. «Ecco perché sull'argomento l'Italia - sono le parole del ministro Piantedosi - deve avere un ruolo da protagonista, non ancillare».

Ed è un atteggiamento che si sposa perfettamente con i ragionamenti del Papa quando esorta gli altri Paesi Ue a fare la loro parte nell'accoglienza degli immigrati clandestini e dei richiedenti asilo. Anche perché se l'Italia non pone con forza il problema nel consesso europeo, nessuno le darà ascolto. Bruxelles spesso è sorda e non regala mai niente a nessuno. La questione quindi non è tanto il numero degli immigrati che metteranno piede sul territorio italiano - pochi, tanti o tutti che siano - quanto riaffermare il principio che le navi Ong debbano indirizzare i passeggeri a bordo verso i Paesi di cui battono bandiera. Oppure vanno riviste le logiche con cui vengono ripartiti i clandestini nella Ue.

E ancora, visto che pure in quest'occasione nel rispetto della tradizione italiana la questione è sfociata in una disputa legale - si comincia con il Tar e si finisce al penale - è giusto che il governo non si tiri indietro: quindi è legittimo che il Viminale chieda di multare le navi Ong; che fissi dei paletti a legislazione vigente di fronte ad un giudice; e, qualora l'orientamento dei tribunali risultasse diverso, che adegui le norme in modo tale che diventino estremamente chiare.

Perché il dato più paradossale di questo salto indietro nel tempo, ai giorni in cui Matteo Salvini era al Viminale, non è tanto il tentativo del ministro Piantedosi di far fronte ad una questione su cui la Lamorgese si è bendata gli occhi, ma la constatazione che

l'aver rimosso il problema, non aver dato una soluzione sul piano politico, ha fatto sì che oggi come allora siano i tribunali a decidere sulla base di carte bollate e cavilli. Ennesimo esempio di una politica impotente.

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