Il racket dei clandestini eritrei

Dallo spaccio ai documenti falsi: la zona di Porta Venezia è diventata il nuovo ghetto di eritrei ed etiopi

Il racket dei clandestini eritrei

Porta Venezia. Via Palazzi, via Lecco, viale Tunisia: quartiere storico della Milano "bene", citato anche ne "I Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni. Eppure facendo una semplice passeggiata e sentendo le testimonianze dei commercianti con attività aperte da quarant'anni, l'immagine sembra essere cambiata radicalmente. Ai cittadini radical chic si sono sostituiti centinaia di profughi di origine eritrea ed etiope, stanziati nella zona da mesi. Troppi ormai. Tanto che viene da domandarsi come mai gruppi di profughi abbiano scelto di accamparsi proprio qui. La scusa che nella zona ci siano attività commerciali eritree non regge più. Dietro l'apparenza, che ormai non riescono neppure a nascondere così bene, c'è altro. E le denunce dei commercianti che parlano senza filtro, un po' per disperazione un po' per esasperazione, lo confermano. Luca Longo, Presidente dell'associazione antimafia Asscomm parla di vero e proprio racket. "La maggior parte di queste persone non sono profughi ma clandestini". Nessuno di loro e' stato infatti identificato. "Porta Venezia diventa così lo snodo dove si vendono i permessi e i passaggi per andare oltre Alpi, quindi praticamente ci sono altri scafisti", spiega Longo.

Attività illecite che vanno dallo spaccio di droga allo smercio di documenti falsi e schede telefoniche intestate a terzi, prostituzione e traffico di organi. Ma a vederlo e a saperlo sono i cittadini, perché le istituzioni non si interessano, o fanno finta, e le forze di polizia, sono impotenti. Guardandoci attorno ci sono tanti, troppi minorenni, molti di loro con telefonini in mano, ricariche telefoniche, intenti a contattare chissà chi. Molti si accendono una sigaretta e fumano. Sono tutti seduti sugli scalini dei ristoranti, dei bar, delle sartorie, dei phone-center o dei negozi di alimentari, che diventano veri e propri covi. Ci sono anche mamme, giovani donne e anziane. Tutti in coda, tutti in attesa di avere quei maledetti documenti con cui andare oltre Alpi. Quelli che apparentemente sembrano phone center infatti, diventano luoghi di produzione per documenti e permessi falsi.

Zigzagando su via Palazzi, ci imbattiamo in un ristoratore, Peppino, che gestisce da anni un ristorate molto noto nella zona. Ci parla delle Onlus che hanno in gestione i clandestini. "Vengono qui perché è tutto un magna-magna. Qui c'è una mafia dove gli eritrei milionari sfruttano questi poverini. Indietro non ci possono tornare perché vengono ammazzati. Alla sera arrivano camion di lusso che trasportano la droga e i ragazzini vengono coinvolti nello spaccio e imbottiti di hashish per stare allegri durante il giorno". Ci confessa anche che molti di loro hanno mezzette da 50 euro in tasca.

Altri commercianti tra cui il gestore della panetteria e pasticceria "La Madia" in via Lecco, ci spiega che i clandestini stanno "ghettizzando la zona". Gli incassi sono calati del 30%. Un pizzaiolo egiziano proprietario di un ristorante-pizzeria ci racconta che la sua arma di difesa è il vim, il disinfettante che solitamente si usa in cucina. Lo lascia sparso sugli scalini d'ingresso per evitare che gli eritrei si siedano.
Kika invece, sarta, con un'attività avviata da quarant'anni, ha avuto un calo di incassi pari al 90%. Indossa un vestito con la scritta "Eau de Pisciapia"' lamentando l'odore forte di vomito e bisogni vari che queste persone fanno in maniera indisturbata.

Se la prende con il Sindaco di Milano e non ricorda di avere mai visto la sua zona così squallida.

Una situazione drammatica dove i cittadini convivono e combattono tra solidarietà, illegalità e traffici di ogni tipo, in una Milano diventata irriconoscibile che si prepara a inaugurare la sua "black street".

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