
In qualsiasi altra situazione, la notizia del rialzo del rating dell'Italia da parte dell'agenzia Usa Standard & Poor's avrebbe trovato ben altro spazio rispetto a quello dedicato tra ieri e oggi sui vari media. «È la stampa, bellezza» direbbe anche questa volta Bogey (l'immortale Humphrey Bogart di tutti i cinefili), che colloca le notizie secondo la gerarchia del momento. Per cui, di fronte a questo bel Donald Trump che ci accompagna dal 2 aprile scorso, annunciando e cancellando dazi come se a decidere fosse la pallina della sua roulette; davanti alle Borse che bruciano, poi restituiscono e poi bruciano di nuovo, in un paio d'ore, i denari che certa gente ha impiegato un paio d'anni a risparmiare; e infine, dinnanzi al rischio che il prossimo iPhone ci possa costare 2.300 euro, cosa volete che sia questo «upgrading» sulla capacità dello Stato italiano di ripagare il proprio debito pubblico? Tutto è relativo? Ebbene no, non tutto.
La promozione dell'Italia dal rating da BBB a BBB+ è una signora notizia. Sia in valore assoluto, sia nel merito. A livello generale l'upgrading non avveniva dall'ottobre del 2017. Da allora i vari governi (Gentiloni, Conte I e II, Draghi) hanno vissuto con la spada di Damocle del rating attraverso momenti come la pandemia, l'invasione dell'Ucraina, la crisi energetica e l'inflazione. E a ogni vigilia stabilita dal calendario delle agenzie di rating corrispondeva la relativa paura. Bastava una singola bocciatura per tornare sul baratro del BBB-, soglia sotto la quale diventa molto più difficile vendere i Btp ai grandi investitori e alle banche centrali. Per dare un'idea di quanto rare siano state le promozioni del debito italiano, basta ricordare che questa dell'11 aprile 2025 è la quarta in 39 anni, da quando, nel 1986, l'Italia perse per la prima volta la «tripla A».
Per questo è ancora più clamoroso che la promozione sia arrivata nel pieno della bufera internazionale, nei giorni in cui i mercati hanno vissuto giornate paragonabili solo al fallimento Lehman o all'esplosione del Covid-19. A volte le agenzie di rating sospendono il giudizio di fronte agli eventi improvvisi che generano incertezze. Ma questa volta S&P ha scelto di promuovere l'Italia, pur avvertendo dei rischi futuri dei dazi sulla «fiducia dei consumatori e delle imprese» e sulla «bilancia dei pagamenti»; e però riconoscendo «il miglioramento delle riserve economiche esterne e monetarie dell'Italia in un contesto di crescenti venti contrari a livello globale». Parole che suonano, per il ministro Giancarlo Giorgetti, come il premio alla fatica quotidiana nel difendere la diligenza Italia dagli attacchi (interni ed esterni) di chi vorrebbe spendere sempre di più.
E qui si arriva alla parte che più avrà fatto piacere dentro Palazzo Chigi. Quando S&P parla del governo di Giorgia Meloni: «Oggi tra i più longevi della storia recente d'Italia» che «gode di un solido sostegno pubblico», anche perché «beneficia inoltre di una maggioranza parlamentare stabile e di limitate minacce da parte dell'opposizione, il che rende probabile che rimanga al potere fino alle elezioni del 2027».
Se Meloni-Giorgetti avevano ancora qualche dubbio sulla strada
da seguire per incontrare il gradimento dei mercati, ora non ce ne sono più. E vediamo se anche l'altra grande agenzia Usa, Moody's, seguirà l'esempio di S&P. L'appuntamento è per la tarda serata di venerdì 23 maggio.
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