Il re delle televendite denunciato. Non aveva la licenza

Durante un controllo è risultato che non vi fosse l’autorizzazione a vendere i gioielli in televisione

Il re delle televendite denunciato. Non aveva la licenza

Il re delle televendite è stato denunciato per non essere in possesso della licenza atta a vendere bigiotteria con metalli preziosi e argento. Ruben D’Anna, figlio di Giuseppe D’Anna, noto nel mestiere, dovrà infatti rispondere agli inquirenti di alcuni monili ritrovati nel suo magazzino e venduti senza averne la licenza. Nel 2018 la Procura di Genova era entrata in possesso di merce del valore di circa 12 milioni di euro, ritenuta frutto di attività illegali e riciclaggio. Ieri, venerdì 12 aprile, è stata invece la polizia amministrativa e sociale di Milano a presentarsi presso il magazzino di Assago, comune alle porte della città meneghina, per notificare a D’Anna il provvedimento e la multa.

Ed è proprio durante la perquisizione del locale che gli agenti hanno trovato merce sospetta, ben 135 oggetti di argenteria, per un peso di oltre un chilo e 600 grammi. Oltre a seicento euro in contanti, abbigliamento e oggettistica varia. Nella struttura vi era anche una sala di registrazione. Attraverso un controllo accurato da parte delle Forze dell’ordine, è saltato fuori che D’Anna non era in possesso di alcuna licenza per poter vendere collanine e anelli con inseriti metalli preziosi. Una volta interrogato, l'uomo ha raccontato di aver fatto solo un favore a un amico veneto, per l’esattezza di Vicenza, e di non aver mai avuto intenzione di vendere quella merce. Il suo ruolo era solo quello di mostrare gli oggetti in televisione, per fare appunto un favore al suo conoscente.

Strano, visto che proprio quegli oggetti venivano indossati da ragazze in abiti succinti e poi venduti nelle sue televendite. In passato anche la moglie di D’Anna era stata denunciata per riciclaggio e ricettazione. Già nel 2016 Giuseppe e Ruben D’Anna avevano dovuto rispondere alle accuse di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, riciclaggio e ricettazione. L’indagine dei carabinieri di allora, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Pinto, aveva portato alla luce che i D’Anna compravano gioielli di scarsa qualità in Asia e li rivendevano in Italia spacciandoli per degli ottimi acquisti.

Il padre Giuseppe aveva iniziato questo lavoro negli anni ‘80, creando in poco tempo un largo giro d’affari. Le valutazioni di allora avevano stimato che il valore reale dei monili era il 30% in meno rispetto a quello dichiarato dai D’Anna.

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