La scrittura di Salvatore Parolisi ci fa capire quanto sia difficile diagnosticare una patologia e soprattutto definire colpevolezza o innocenza. Quante volte, anche in televisione, si sente dire dalle interviste ai vicini di assassini o violentatori: “Era una persona tranquilla che non dava fastidio a nessuno”. La collera, l’astio, l’odio e la violenza possono sfociare in raptus basati su fattori emotivi che possono scatenare l’inferno. Dall’analisi della lettera di Parolisi emerge una persona apparentemente socievole e comunicativa, con note di incertezza nel procedere. In effetti, la grafia denuncia segnali di autocontrollo, ma ciò che forse lo ha portato a uscire dal seminato, sia affettivamente, sia come azione, è stata l’aggressività covata per tanto tempo (vedi tagli “t” a lazo) che ha prodotto un Io instabile e nel contempo agguerrito. Su un temperamento sanguigno, con punte di collera, si è andato formando un carattere altezzoso e ostentato negli atteggiamenti.
L’immagine sociale conquistata dava un senso di privilegio, aumentando un narcisismo che gli permetteva di mettere a tacere i sentimenti d’inferiorità: uno specchio idealizzato che non doveva essere infranto da nessuno, pena il rischio di sue reazioni. L’intelligenza di tipo concreto e un’immaturità di fondo non lo hanno aiutato a risolvere le problematiche insorte nell’età adolescenziale, e ciò ha lasciato degli “insoluti affettivi” che stanno alla base di un comportamento imprevedibile. Jung lo porrebbe tra le persone nelle quali l’anima prevale sull’animus, conferendogli tratti di forte sentimento più che di volontà e determinazione.
La logica conseguenza, dal punto di vista psicoanalitico, è il fatto che in Parolisi domina l’aspetto femminile che lo ha reso ambivalente. Il passaggio dall’ambivalenza alla violenza aggressiva è stato certamente provocato dall’incapacità di gestire la frustrazione e dalla disarmonia affettiva interiore mai risolta.
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