Reagan, il sogno americano diventato rivoluzione liberale

Indro Montanelli scrisse: "Di Reagan ho un concetto ultrapositivo, l'opposto di quello ultranegativo che ho di Carter"

Reagan, il sogno americano diventato rivoluzione liberale

Sulla prima pagina de il Giornale, l'unico grande giornale italiano ad accogliere con favore l'elezione di Ronald Reagan, nel novembre del 1980, Indro Montanelli scrisse: «Di Reagan ho un concetto ultrapositivo, l'opposto di quello ultranegativo che ho di Carter».

Montanelli era, come al suo solito, controcorrente. Ben altro clima accolse l'elezione di Ronald Reagan alla Casa Bianca, uno choc per la sinistra dei salotti, attiva anche allora.

Doc: «Dimmi, ragazzo del futuro, chi è il presidente degli Stati Uniti nel 1985?». Marty: «Ronald Reagan». Doc: «Ronald Reagan? L'attore? Ah! E il vicepresidente chi è, Jerry Lewis? Suppongo che Marilyn Monroe sia la First Lady e John Wayne il ministro della Guerra!». Questa è una gustosa conversazione che compare in una scena di Ritorno al futuro (Back to the Future), il film cult diretto da Robert Zemeckis nel 1985. Si tratta di un dialogo che simboleggia alla perfezione l'autentico stupore, misto a una certa aria di sufficienza, che accolse l'ascesa di Ronald Reagan alla Casa Bianca nel 1980. Un attore di Hollywood, per giunta di seconda fila, un cowboy, alla guida della più grande superpotenza planetaria in piena Guerra fredda. Un pericolo per il mondo, secondo alcuni. Da allora sono trascorsi parecchi anni. Un tempo necessario e sufficiente per consentire agli storici e agli scienziati della politica di giungere a una pacata e meditata valutazione del suo operato. Ebbene, Ronald Reagan è ritenuto, quasi unanimemente, tra i migliori presidenti nella storia degli Stati Uniti, «colui che ha vinto la Guerra fredda senza sparare un colpo», come dirà Margaret Thatcher. La caratterizzazione che Reagan darà a un lungo periodo della storia americana e mondiale, con la sua innovativa politica economica ed estera, diventerà un «ismo», il reaganismo appunto.

Gli effetti, sul piano ideologico e culturale, si spingeranno ben oltre la sua presidenza, abbracciando la stagione del democratico Bill Clinton e quella del repubblicano George W. Bush, figlio del suo vicepresidente. Se oggi gli anni Ottanta sono ricordati come una stagione felice di benessere, lo si deve a quella spinta di ottimismo, di pragmatismo e di modernizzazione che Reagan seppe imprimere agli Stati Uniti e di conseguenza a tutte le nazioni industrializzate dell'Occidente. A quarant'anni dal suo insediamento alla Casa Bianca, il dibattito storiografico sulla figura di Reagan ha finito con il riconoscerne il ruolo attivo e determinante nella ricostruzione materiale e morale dell'Occidente, i successi di un'economia che ha recuperato efficienza e prosperità, i trionfi di una politica estera che ha chiuso in maniera pacifica la Guerra fredda e ridato orgoglio agli Stati Uniti, dopo la crisi di fiducia provocata dalla sconfitta in Vietnam. Dunque, un ritorno alla fede nel sogno americano. Un uomo dotato di un grande carisma naturale, che si manifestò sin da ragazzo, quando fu eletto rappresentante degli studenti al college, capace di affascinare con le sue doti di grande comunicatore. La sua è una storia tutta americana, di quelle che hanno sostanziato gli Stati Uniti come la terra delle opportunità. Ronald Reagan amava ricordare di avere origini umili, molto simili a quelle di Margaret Thatcher, figlia di un droghiere lei, figlio del commesso di un negozio lui. Nato il 6 febbraio 1911 a Tampico, poco più di una frazione di 849 anime, talmente piccola da non avere un medico. Una sola vera strada e persino polverosa, la Main Street, dove si trova l'emporio in cui lavora il padre. Sopra c'è la loro casa. Un luogo uguale a quello di tanti altri paesi della provincia americana. In futuro, Ronald Reagan si autodefinirà un «repubblicano della Main Street», un modo per sottolineare la genuinità della sua provenienza. Il padre è un cattolico irlandese, alcolizzato, che passa da un lavoro precario all'altro, condizione che costringe la famiglia a un'estrema povertà. La madre è una donna religiosa, appartenente alla congregazione dei Discepoli di Cristo. Educa i figli all'onestà e al rispetto, e inculca loro l'importanza di studiare per affrancarsi dalla miseria. Nel 1920 la famiglia, dopo uno sfortunato tentativo di stabilirsi a Chicago, approda a Dixon, un'altra cittadina dell'Illinois. Qui i Reagan conoscono la Grande Depressione, che rende il padre disoccupato e aggrava ancor più le condizioni economiche della famiglia e la durezza della vita. Anche un pasto soddisfacente in tavola è diventato un problema. Le immagini e le sofferenze di questi terribili anni accompagneranno Ronald Reagan per tutta la vita e ne segneranno il connotato di esponente della destra sociale. Nel 1980, la sera del grande trionfo elettorale che lo consacra presidente degli Stati Uniti d'America, Neil, il suo unico fratello, gli dirà: «Chissà che festa faranno stanotte a Dixon». «Mi piacerebbe esser lì, a guardare in un angolino» risponde lui.

Durante la campagna elettorale, un giornalista gli chiese come immaginava che gli americani lo vedessero; lui, esibendo il suo tipico sorriso, replicò: «Riderebbe se le dicessi che magari in me vedono sé stessi, e che sono uno di loro? In fondo, non sono mai stato capace di distinguermi, né di pensare che in qualche modo sono diverso da loro».

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