Reddito di cittadinanza fabbrica di disoccupati

Reddito di cittadinanza fabbrica di disoccupati

«Gli europei sono così ricchi che si possono permettere di pagare chiunque per non lavorare». Così l'economista Rudiger Dornbush descriveva il welfare all'europea, che secondo Mario Draghi era da considerarsi archiviato già nel 2011, giubilato nei fatti dall'elevato tasso di disoccupazione giovanile. Ma che relazione c'è tra il welfare e la disoccupazione, se non quella apparentemente ovvia che più sale la seconda più diventa necessario estendere il primo? Esattamente questa, ma invertita: più aumenta il welfare più cresce la disoccupazione. Detta così sembra una bestemmia. Redditi distribuiti ai cittadini in varie forme, ma non legati a una qualsiasi produzione di valore, non generano immediatamente disoccupazione. No, ci vuole tempo. Noi italiani abbiamo impiegato un paio di generazioni, quelle scolarizzate negli anni '80 e '90, cresciute in famiglie che stavano godendosi la parte bella del welfare, frutto delle loro battaglie politiche. In quegli anni si è diffusa l'idea che lo Stato non ti avrebbe lasciato mai a piedi. Qualsiasi sorte ti fosse capitata, avresti sempre avuto un tetto tuo e pasti caldi per la famiglia. Il corollario automatico era che non dovevi poi sbatterti più di tanto per trovare uno spazio dove dare il tuo contributo. Questa l'interpretazione dalla parte del cittadino. Dalla parte dello Stato, poi, la prospettiva ha indotto a difendere fino allo stremo qualsiasi posto di lavoro, pur di non ritrovarsi con altri che non producono nulla e devono comunque ricevere un reddito. In questo modo, dopo un certo periodo, la spinta propulsiva del tessuto sociale risulta indebolita, sia dalla minore disponibilità a mettersi in gioco dei lavoratori, sia dalle rigidità delle norme sul lavoro che scoraggiano le imprese. Il prodotto è un'economia in affanno, che non assorbe i nuovi entranti. In questo senso, la relazione tra welfare e disoccupazione c'è. Per converso, è opportuno rimarcare che oggi l'atteggiamento che si riscontra nei giovani ventenni è molto diverso dai loro fratelli maggiori: sono più disincantati e più aperti, disponibili a mettersi in gioco facendo leva sulle proprie forze e capacità. Proprio perché hanno capito che ormai la festa è finita ed è inutile piangersi addosso.

Più o meno, questa è la fotografia di dove siamo adesso. Ma per il M5S pare non sufficiente: invocano il reddito di cittadinanza, che però non è un vezzo nostrano, partorito da un gruppo di neopolitici improvvisati. Poche settimane fa la Svizzera (non esattamente una repubblica delle banane) è andata al voto popolare sul tema. Il prossimo anno la Finlandia dovrebbe testare una sua versione di sussidio incondizionato per tutti i cittadini, fino a 800 euro al mese. Come mai mentre alcuni mettono in discussione il welfare altri vorrebbero rafforzarlo? Che strabismo è? Il fatto è che il sistema attuale tutela solo chi il lavoro ce l'ha già. Ma fuori dai cancelli c'è la massa enorme di due generazioni che preme e ha capito che non riuscirà ad entrare, se non dalla porta di servizio, alias accettando condizioni alle quali non era preparata (molti sono laureati e diplomati). Pertanto, è sconsigliabile fare spallucce e trattare con sufficienza la petizione, a meno di non voler correre il serio rischio di trovarla nelle agende di qualche altra forza politica che voglia lisciare il pelo ad alcuni milioni di votanti. Così, vediamo su quali basi si poggia. I teorici argomentano che l'economia si fonda sui consumi diffusi e che la politica ha la funzione primaria di redistribuire la ricchezza secondo criteri tendenti all'equità. Visto che nei Paesi Ocse la disuguaglianza sociale (misurata con il coefficiente di Gini) è aumentata dal 1985 al 2013 da 0,28 a 0,32, perché concludono non seguire la via più semplice e redistribuire direttamente il reddito, anziché prenderla lunga, costruendo reti più o meno articolate di assistenza e magari redistribuire gli strumenti che producono reddito (buona scuola, valori impegnativi, condizioni di mercato meno ingessate)? Perché è sbagliato e pericoloso, sia detto forte e chiaro. Una cosa è dare a una persona una forma di aiuto in circostanze particolarmente critiche, che non lo esime dal cimentarsi nel contesto produttivo. Ma decenni di welfare abusato e indiscriminato hanno insegnato che garantire un reddito minerebbe alla base la necessità e dunque la propensione a uscire la mattina per tornare a casa la sera avendo prodotto un valore. Se dai a qualcuno un biscotto, dicono gli americani, quello poi ti chiederà la tazza di latte.

Un reddito di cittadinanza non risolverebbe il problema, anzi lo moltiplicherebbe per le generazioni che adesso si stanno formando, indebolendole. Detto questo, il problema rimane e non è piccolo. Ma va circoscritto e risolto. È il momento per la politica alta di scendere in campo, scegliendo la strada giusta, non quella in discesa.

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