Regista libero che combattè la dittatura progressista

Non salì mai sulle barricate progressiste. E con Claretta mise in soffitta gli stereotipi

Regista libero che combattè la dittatura progressista

Pasquale Squitieri è stato un irregolare della cultura cinematografica italiana. Un regista indipendente, lontano dalle mode. Sempre controvento. Sempre pronto a battersi per cause difficili da difendere. Per questo ha ricevuto pochi onori e molti rancori. La critica ufficiale non lo ha mai amato. Talvolta l'ha detestato. Non gli ha perdonato l'essersi tenuto alla larga dalla barricata progressista. A ciò ha contribuito anche la sua elezione in Parlamento nei banchi della destra. Una rivelazione: ve l'avevamo detto, era sempre stato un fascista!

Del resto cosa ci si poteva aspettare dall'autore de Il prefetto di ferro (1977), biografia di un «uomo forte» mandato dal fascismo a combattere la mafia? E da Claretta (1984), l'insulsa amante del Duce? Squitieri non è mai stato fascista. E, forse, nemmeno di destra. Era un uomo libero. Libero di pensare e di lavorare senza condizionamenti e magari come succede ai mortali anche di sbagliare. Con alcuni amici abbiamo festeggiato di recente Pasquale, ormai sfinito e sfibrato ma non vinto dalla malattia, lo sguardo magnetico e il sorriso ancora vivo. In quell'incontro dello scorso dicembre la conversazione finì su Claretta. La riteneva un'opera rivelatrice della propria avventura di regista, nel bene (una grande interpretazione sosteneva nella carriera di Claudia Cardinale), ma soprattutto nel male. Nel malo modo di come era stato trattato. Il film venne presentato a Venezia nel settembre del 1984. Tre giurati, i poeti Evgenij Evtuenko e Rafael Alberti, oltre al romanziere Günter Grass, lo accusarono di aver realizzato un'apologia del fascismo. Sembra incredibile, ma stiamo parlando di quel campione del «progressismo internazionale», Günter Grass, che sarà costretto a rivelare, nel 2007, di essersi arruolato diciassettenne non nell'esercito tedesco, come aveva sempre sostenuto, ma nelle famigerate Waffen-SS. Quindi lo scrittore che ben teneva nascosto l'arruolamento alle SS del 1944, nel 1984 si sentiva in obbligo di denunciare pubblicamente il pericolo (del tutto immaginario) del fascismo.

Claretta venne accolto molto male dalla critica. Persino il quotidiano dei vescovi, Avvenire, lo attaccò a testa bassa. In poche settimane uscì dalla circolazione, raggranellando pochi quattrini. Eppure è un'opera storicamente in anticipo rispetto ai tempi. Quando Squitieri si imbarcò nell'operazione di raccontare gli ultimi seicento giorni di Claretta Petacci, il giudizio consolidato era che si trattasse di una storia banale. Un dettaglio al massimo pruriginoso. La ragazza volgare con la quale Mussolini trascorre a palazzo Venezia le ore libere, ha magari il seno rigoglioso, ma il cervello di una collaboratrice domestica. È avida di regali e favori. Ha una famiglia di arrivisti, arrampicatori sociali a caccia di prebende. Sfruttano i favori dell'alcova concessi dalla ragazza ad un uomo avanti con gli anni, interamente soggiogato.

Squitieri crede poco a questa ricostruzione. Racconta la storia saltando gli anni d'oro. Parte dal 1943, quando il fascismo cade di schianto, e Badoglio fa arrestare la famiglia Petacci. Tornata in libertà, Claretta non ha nessun tentennamento: starà accanto all'uomo della sua vita. Sino alla decisione finale di morire con Benito per amore e non per convenienza, superficialità o incoscienza. Il mondo in cui aveva creduto il fascismo affondava. E lei affondava con quel mondo. L'Archivio di Stato, pochi anni fa, ha reso consultabili le lettere che si sono scambiati Claretta e Benito. Da quel fondo esce il ritratto di una donna lontana dagli stereotipi negativi in cui per mezzo secolo è stata rinchiusa. Squitieri lo aveva capito anzitempo. Ma ci voleva coraggio, nel 1984, per trasformarlo in un film. Del resto a Pasquale il coraggio non ha mai fatto difetto. Non aveva timore di sfidare luoghi comuni e pregiudizi.

Apparteneva alla schiera degli inclassificabili, dei camminatori solitari, dei lontani da qualsivoglia chiesa, rossa o nera, pronti a menare le mani se necessario, per difendersi, ma onesti intellettualmente, innanzitutto con se stessi. Ci mancherà Pasquale Squitieri. Ma è stata una fortuna averlo conosciuto.

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