Ore 11,30, sullo scalone che porta al salone della Lupa a Montecitorio, trasformato in quel momento in una sorta di Checkpoint Charlie, cioè il passaggio che divideva in due Berlino ai tempi del Muro, si svolge un dialogo casuale tra gli esponenti dei due partiti, Pd e Lega, che dovrebbero essere divisi da quella barriera di ghiaccio ideologica, l'europeismo e l'anti-europeismo, che sulla carta dovrebbe impedirgli di convivere all'ombra del nascituro governo Draghi. Una barriera che, però, alla prova dei fatti, come tutte le ideologie agli albori del Terzo millennio, si scioglie sotto il sole del pragmatismo. Sullo scalone Graziano Delrio, capogruppo del Pd, incontra per caso un leghista di primo piano come Edoardo Rixi: «Ma tu sei dell'ala governista o no?», gli chiede a bruciapelo. «Io sono un governista», gli risponde per nulla in imbarazzo l'uomo del Carroccio. «Lo sospettavo e ne sono felice», ride Delrio. «In realtà noi va avanti l'altro siamo tutti governisti. Anche Salvini questa notte diceva che vuole entrare. Semmai da voi, nel Pd, c'è chi è d'accordo a fare un governo con noi e chi ci sta male». Ma Delrio ha la risposta pronta, che ripete a memoria il «verbo» del Quirinale. «In un governo del presidente recita a menadito nessuno può arrogarsi il diritto di dire quello sì e quello no». «Speriamo, sarebbe un passaggio importante chiosa collaborativo Rixi -: e pure la storia delle elezioni è un falso problema. Per Draghi questo è un trampolino di lancio e la maggioranza che metterà insieme sarà quella che lo porterà al Quirinale. La data di scadenza del governo è di un anno, quando si deciderà il successore di Mattarella».
Passa qualche ora e a chi gli riporta i mal di pancia dei compagni di partito sulla Lega nel governo, Delrio offre una risposta che non ammette repliche: «Ancora non gli è bastata?! Vogliono seguire ancora la linea Bettini?! Vogliono ancora inimicarsi di più il Colle?!».
Questa strana crisi di governo, che sembrava irrisolvibile e ora appare fin troppo facile, sta facendo venire alla luce falsi tabù, totem inventati e amare verità. Matteo Renzi, prima di entrare al colloquio con il presidente incaricato, si prende una rivincita sul filo dell'ironia nei confronti di chi al governo Draghi non ha mai creduto: «Stiamo andando a parlare del Conte Ter», ridacchia. Ma alla fine, tra veti impotenti e autoesclusioni dall'impronta masochista, il tentativo dell'ex presidente della Bce va avanti, lento ma inesorabile. Draghi è un vero schiaccianoci: negli incontri parla di «forte discontinuità», di «governo politico» e, per vie traverse, comincia a ragionare sui nomi dei ministri, a cominciare dal «nodo Conte» che provoca una reazione allergica nel centrodestra. Una mina che l'esperto Giancarlo Giorgetti disinnesca subito con lo stesso Salvini: «Non possiamo essere noi a mettere veti - spiega il possibile ministro per i Rapporti con il Parlamento -: certo sarà pesante, nel caso, sopportare Conte ma... che ci vuoi fare?».
Già, Giorgetti è un prezioso alleato per il presidente incaricato per superare l'ostacolo sulla carta più complicato, appunto, la convivenza tra il Pd di Zingaretti e la Lega di Salvini. Un problema che aleggia, ma che nessuno ha il coraggio di tirare fuori sotto gli occhi attenti di Draghi e minacciosi della Sfinge Mattarella. Salvini non offre spazi: parla di governo «con dentro tutti», chiede «ministri leghisti». Nel Pd l'altro ieri c'era una certa resistenza. Dario Franceschini, per evitare reazioni brusche, ragionava sull'espediente più naturale: «Se il governo è di tutti, i ministri non possono essere politici». Lorenzo Guerini, invece, si preoccupava di più di tenere il baricentro politico più verso la vecchia maggioranza: «Dobbiamo garantire che tutti i grillini stiano dentro per tenere il governo spostato all'interno dei confini della maggioranza che in Europa elesse Ursula von der Leyen».
Tanto parlare, ma alla fine l'avversione contro la Lega ha partorito un topolino: una serie di arzigogolature programmatiche di Zingaretti per far venire il mal di pancia a Salvini.
Tanto più che il Pd in questa battaglia è solo. Liberi e Uguali si sono tirati fuori parlando di «incompatibilità» con i leghisti. Mentre Grillo e i 5stelle non si mischiano: in fondo loro con Salvini hanno già governato e, dal loro punto di vista, come si fa a dire sì a Berlusconi e no ai leghisti. Inoltre il Pd non deve neppure ingoiare il rospo della Meloni: alla fine si asterrà. Già comincia a teorizzare che il governo Draghi «è il portato della fine di Trump e dell'arrivo di Biden». In realtà pensa solo ai calcoli elettorali. Per di più, secondo Giorgetti, sbagliati. «Ancora il governo non si è fatto - racconta la testa d'uovo della Lega - e c'è già la fila di amministratori di Fratelli d'Italia alla nostra porta. Fra un anno Giorgia dei sondaggi non saprà che farsene!».
Chi, invece, ha dato l'appoggio incondizionato al presidente incaricato e si è messo di lato è il deus ex machina dell'operazione, cioè Renzi. C'è amarezza verso i suoi ex compagni di partito, il Pd. Confida ai suoi parafrasando la filippica di Churchill contro la politica dell'arrendevolezza verso il nazismo: «Potevano scegliere tra Conte e il perdere la dignità; hanno perso la dignità e pure Conte. E ora se entra la Lega nel governo io godo!». Lo scontro sostenuto in questa crisi ha davvero provato il leader di Italia viva: «Più della sconfitta al referendum, più delle batoste elettorali», confessa: «Mi sono sentito odiato. Ho visto gente che consideravo come fratelli, come Delrio o la Serracchiani, accettare l'abiura contro di me che il vertice del Pd gli imponeva, come ai tempi del Politburo: disconoscermi, porre un veto personale su di me. Si può avere una politica diversa, ma non si può sparare sulla persona. Franceschini e Guerini non lo hanno fatto, loro sì. E perché ho subito tutto questo? Solo perché volevo un governo all'altezza, quel governo Draghi che ora fa esultare tutti; un governo che non dissipasse in marchette le risorse del Recovery fund. E pensare che per averlo ho rinunciato al potere che mi offrivano! Addirittura alla golden share sulla maggioranza di prima! Per avere Draghi, ho dovuto cambiare anche la mia collocazione politica naturale! E, lo ammetto, tutto questo rancore mi ha fatto male.
Ora ho bisogno di tranquillità. Il presidente incaricato si prenda tutto il tempo di cui ha bisogno, faccia un governo tecnico o politico, come preferisce: mi fido di lui. Draghi è una polizza sulla vita per questo Paese».
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