Riecco i kamikaze: quel filo che li lega ai clan talebani. Le bugie degli Usa

Il terrorismo nel Paese non è mai stato sradicato. A marzo un attentato fece 90 morti. La guerra tra fazioni talebane e la liberazione di militanti Isis e al Qaida.

Riecco i kamikaze: quel filo che li lega ai clan talebani. Le bugie degli Usa

I kamikaze sono tornati. Ma probabilmente non se n'erano mai andati. O, meglio, non erano mai stati sconfitti. La tragica constatazione, evidenziata dalla carneficina di ieri pomeriggio all'aeroporto di Kabul, dimostra quanto le giustificazioni, o le bugie, di Joe Biden abbiano le gambe corte. Così corte da non permettere neppure la fuga programmata per il 31 agosto. Tanto corte da moltiplicare i dubbi sulla credibilità di una Casa Bianca che da giorni ripete l'inossidabile «refrain» di un ritiro giustificato dalla totale sconfitta del terrorismo. Ora è chiaro che quelle assicurazioni erano assolutamente infondate. E lo dimostrano i corpi dilaniati di 12 marines uccisi ieri dai terroristi tornati a colpire non solo l'Afghanistan, ma la stessa America. Dodici cadaveri che, 20 anni dopo, risvegliano i fantasmi dell'11 settembre. Dodici cadaveri con cui Biden sarà chiamato già questa mattina a fare i conti. Ma per capire che in Afghanistan il terrorismo fosse ben radicato non servivano le analisi d'intelligence, bastavano le cronache. Prima fra tutte quella del tremendo attentato dell'8 marzo scorso quando l'Isis fece deflagrare una autobomba, seguita dall'esplosione di due attentatori suicidi, davanti ad una scuola femminile del quartiere di Kabul abitato dalla minoranza sciita degli Hazara. Gli oltre 90 morti di quella tragica giornata bastarono a far capire quanto affrettato fosse il ritiro avviato settimane prima. E la conferma di un addio all'Afghanistan destinato a risvegliare il terrorismo di Isis e Al Qaida arrivò con il ritorno in libertà di 9mila detenuti delle carceri di Bagram e Pul I Charky liberati dai militanti talebani durante la trionfale marcia su Kabul. Tra di loro vi erano centinaia di militanti dello Stato Islamico e altrettanti esponenti delle vecchia Al Qaida. Quella liberazione di massa difficilmente può essere attribuita ad una frettolosa euforia della vittoria. Per quanto euforiche le ben istruite avanguardie talebane si premurarono di eliminare nella sua cella Abu Omar Khorasani, uno dei capi della fazione afghana dell'Isis. Con quell'eliminazione i talebani volevano far capire di esser pronti a combattere lo Stato islamico. Una determinazione poco condivisa dalla grande massa dei militanti pronti, invece, a garantire la fuga in massa di tutti i sottoposti di Khorasani nel nome della solidarietà jihadista.

E il fatto che l'intelligence occidentale sia riuscita ad intercettare con 48 ore di anticipo i piani di un'Isis pronta a colpire l'aeroporto di Kabul, mentre i talebani si sono ben guardati dal fermare o intercettare i kamikaze, fa capire quanto siano affrettate le tesi di chi dà per certa la rottura tra i nipotini del mullah Omar e il terrorismo. Anche perché ricordiamolo bene, la capitale è attualmente in mano a quella fazione interna del movimento talebana conosciuta come clan Haqqani. Una fazione che da sempre garantisce l'interconnessione con Al Qaida e si è distinta, negli ultimi dieci anni, per l'organizzazione e la realizzazione dei più sofisticati e micidiali attentati ai danni di ambasciate straniere, apparati di sicurezza afghani e forze statunitensi e della coalizione. La sicurezza della capitale è insomma nelle mani di un gruppo terrorista non molto diverso, come metodologia e formazione, da Al Qaida e dall'Isis. E a rendere il tutto più inquietante s'aggiungono le indiscrezioni secondo cui le informazioni sugli imminenti attentati sarebbero state fornire al capo della Cia William Burns durante l'incontro di lunedì a Kabul con il numero due talebano Abdul Ghani Baradar. Un Baradar che pur essendo considerato esponente delle cosiddette fazioni dialoganti dell'Emirato può forse condannare a parole ma non certo metter fine alle collusioni tra le varie anime talebane e le fazioni terroriste.

Una spada di Damocle in più sulla testa un Biden che dopo la riunione di ieri con i vertici della sicurezza nazionale dovrà spiegare all'America se la sua amministrazione è ancora in grado di reagire o è ancora convinta di poter voltare le spalle all'Afghanistan. Nell'attesa che il terrore bussi ancora una volta alle porte dell'America.

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