Il ricordo di Weimar e le paure dei falchi

Il denaro costa di più, ancora, di nuovo, con un altro mezzo punto che Christine Lagarde, signora della Bce, ha caricato sul tasso d'interesse.

Il ricordo di Weimar e le paure dei falchi

I l denaro costa di più, ancora, di nuovo, con un altro mezzo punto che Christine Lagarde, signora della Bce, ha caricato sul tasso d'interesse. È lo scenario peggiore per l'economia italiana. Non fa bene al debito pubblico, alle imprese che stanno cominciando a respirare dopo la pandemia, a chi già stringe la cinghia per pagare il mutuo, ai consumi. Tutte cose che alla Bce interessano poco. Non è l'Italia il principale azionista di riferimento.

La Banca Centrale Europea ha alcuni punti fermi. Il primo è che l'austerità è il destino dell'Europa. È la virtù teologale della politica economica. Se per una stagione è stata messa da parte, è solo per avere fermato il tempo, chiudendo affari e mercati. Adesso che le ore sono tornate a scorrere normali, non c'è motivo per lasciarsi andare a stupide illusioni di crescita. L'altra certezza è che bisogna rassicurare la Germania. È lì l'economia che conta, quella che dà il segno al resto dell'Europa, sulla quale tutti gli altri devono uniformarsi, perché è un modello che non lascia spazio all'imprevisto e scongiura le sorprese. Ora c'è una cosa che i tedeschi temono più del peccato: l'inflazione. L'aumento dei prezzi è qualcosa che portano nel sangue e si tramandano dai tempi di Weimar. È l'inferno. È la caduta morale. È la maledizione della sconfitta. Non è che l'inflazione non sia una sciagura. Lo è. È la tassa nascosta che spoglia i salari. Solo che per i tedeschi, e quindi per la Bce, è il marchio di una deriva etica. È il segno che il tempo dei dissennati sta arrivando.

La Bce non fa altro che assecondare i timori di Berlino. Non c'è neppure da fare tanta fatica. Tutta l'architettura europea rispecchia questa visione del mondo. È quello che si può definire il dogma del rigore. Ormai non è più una scelta di politica economica. È qualcosa di più, di sacro. È il principio chiave per tenere lontana la paura. La caduta di Credit Suisse getta chiaramente altra paura sul sistema. Si rischia la bancarotta a catena? Ci si troverà di fronte a una maledetta minestra di recessione e inflazione?

La paura è il vero demone dell'Europa. È un sentimento che non tocca solo aspetti concreti, ma ha qualcosa di indistinto. È paura del futuro, dell'inatteso, dell'incerto, di qualcosa che può arrivare all'improvviso, imponderabile, straordinario, non classificato. La risposta è un eccesso di controllo, come chi non può fare a meno di regolare ogni minimo aspetto della vita, per cercare una sicurezza assoluta impossibile da raggiungere. Tutto questo genera sfiducia diffusa, che rende la Ue uno spazio dove conviene guardarsi le spalle, perché amici e alleati esistono solo sulla carta, ma davanti a ogni scelta è scontato pensare prima ai propri interessi.

È così che ogni patto tra governi nasconde un retropensiero. Quando c'è una crisi - virus, gas o migrazioni -, tutti riconoscono la necessità di un'azione politica comune. Poi, però, prendono il sopravvento le rispettive paure. Vince quella che vale di più.

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