Strana situazione quella in cui ci troviamo. Il presidente del Consiglio si presenta in Confindustria, guidata da un imprenditore che praticamente non ha un'impresa, e riceve un'ovazione come non se ne vedeva da lustri. E non solo da parte dei manager delle partecipazioni statali, insomma quelli che devono molto alla politica, ma anche da parte di quella base di imprenditori privati che fa ricco questo Paese. Sono gli stessi per cui la fiducia nel futuro è ai massimi, complice il pianeta politico e quello dei fondi pubblici europei che si sono magicamente allineati. D'altronde la ripresa è impetuosa e quest'anno potrebbe sfiorare il sei per cento. Per l'anno che viene si dovrebbe aggiungere un altro balzo del quattro per cento. Per una crescita cumulata in due anni del dieci per cento, che non si vedeva dai tempi del miracolo economico. In questo caso però tocca stare con i piedi per terra: più dieci per cento di Pil in due anni, non eguaglia, purtroppo, il meno 12 per cento fatto segnare nell'anno della pandemia. Insomma c'è molta euforia in giro, è comprensibile. Ed è bene che sia così. L'ottimismo in economia, che è fatta di investimenti e consumi, è una cosa che si autoalimenta. A ciò si aggiunga che il premier ha promesso di non aumentare le tasse e dunque di non sbatterci tutti e all'improvviso sotto una doccia fredda.
Tutto bene? Mica tanto. Due casi su tutti possono dare il tono di una musica un po' diversa. Il primo riguarda Alitalia. Una parte dei lavoratori ieri ha bloccato l'autostrada, rivendicando il proprio posto di lavoro. La questione è semplice e tragica insieme. La nuova compagnia italiana (Ita) dovrà assumere tremila dipendenti e lo vuole fare alle sue condizioni. La vecchia Alitalia di impiegati ne ha circa diecimila. I due insiemi non si tengono. E la tensione sociale (almeno settemila persone senza lavoro) crescerà. Come risponderà la politica alle sirene della piazza arrabbiata? Per decenni ha gettato la polvere sotto al tappeto, complice anche delle assurde scelte fatte per la compagnia allora di bandiera. Oggi non è aria di scorciatoie, ma come farà questo governo accondiscendente ai 477 della fiorentina Gsk che chiude, urlando alla cattiva multinazionale e al far west, a non esserlo ancora una volta con le richieste che arrivano da Fiumicino? Prima o poi questo governo, con dentro tutti, ci dovrà dire se tutela i posti di lavoro o i lavoratori? E se lo fa per tutti nello stesso modo.
Seconda questione: le bollette. Il governo ha recuperato più di tre miliardi per evitare rialzi delle tariffe del 40 per cento. Alla fine però i prezzi, nonostante il gigante aiuto statale, saliranno. L'esecutivo tra luglio e settembre ha già messo su questo capitolo 4,5 miliardi di euro. Per quanto tempo potrà continuare? Sia chiaro ha fatto benissimo a calmierare i prezzi, per il semplice motivo che essi sono gonfi di oneri impropri. Ma toccherà avere una politica energetica seria. Che non si può affidare ad un ministro (Roberto Cingolani), ottimo fisico grillo-renziano che pur facendo il miracolo di aver cancellato il suo ideologico predecessore, ha paura della sua ombra e non vede l'ora di ritornare a fare il suo mestiere.
Insomma quegli applausi della base di Confindustria ci descrivono un clima positivo, un esecutivo che piace alle imprese, ma la storia insegna che non basta la claque romana per risolvere problemi che ci trasciniamo da decenni: dal trasporto aereo al costo dell'energia.
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