Roma, così i minimarket "bangla" beffano l'ordinanza anti-alcol

Il 9 giugno è entrata in vigore la nuova ordinanza anti-alcol del Campidoglio ma, nei quartieri simbolo della movida romana, beffare le regole è facilissimo. Ecco come

Roma, così i minimarket "bangla" beffano l'ordinanza anti-alcol

La vista è mozzafiato. C’è il Tevere che scorre, illuminato dalle luci della Città Eterna, e lo sguardo arriva sino al di là del ponte, nei vicoli affollati del venerdì sera. La tentazione di restare a bere sino a tardi sui gradini di piazza Trilussa, epicentro della movida romana, è forte. Così forte che, in barba a regole e divieti, ogni sera decine di persone sfidano l’ordinanza anti-alcol, continuando a sostare su quella scalinata con la birra in mano. L’indomani ciò che resta del bivacco è un tappeto di bottiglie di vetro assieme alle vane proteste dei residenti.

Arriviamo a Trastevere attorno alle 22 e, stando ai dettami del Campidoglio, già da quest’ora “il consumo di bevande alcoliche e superalcoliche in contenitori di vetro nelle strade pubbliche” sarebbe vietato. E, dopo la mezzanotte, anche di quelle in plastica. Il condizionale, in questo quadrante della città, è d’obbligo. Sì, perché nelle viuzze del rione il provvedimento capitolino viene sistematicamente disapplicato. Questo nonostante i controlli dei carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia Trastevere che, negli ultimi giorni, hanno sanzionato decine di trasgressori.

Comprare alcolici da asporto, infatti, è facilissimo (guarda il video). Per capire come fare, basta chiedere in giro. Dalle parti di vicolo del Cinque intercettiamo un gruppo di ragazzi: stanno bevendo delle birre in vetro. Sono loro a darci istruzioni esatte: “Per trovare l’alcol – dicono – proseguite lungo questa strada, più in là ci sono due minimarket”. E quando gli chiediamo lumi sull’ordinanza ci rassicurano: “Tranquille, al massimo vi toccherà insistere un po’ ma, alla fine, ve lo vendono al 100 per cento”. Accettiamo il consiglio e procediamo fino alla destinazione. Ed è proprio qui che notiamo un via vai continuo di ragazzi, anche giovanissimi, che entrano ed escono da due negozietti di pochi metri quadri, uno accanto all’altro. Sono entrambi gestiti da cittadini del Bangladesh.

In attesa del nostro turno ci rendiamo conto che esiste una specie di protocollo. Se sei un parvenu, come noi, è lo stesso gestore a spiegarti cosa fare con un filo di voce. Riassumendo, funziona così: prendi le birre velocemente, le infili nella borsa, nello zaino o, in casi estremi, addirittura in tasca con la promessa di andarle a bere da un’altra parte. Sono gesti che vediamo ripetersi almeno una decina di volte finché non tocca a noi che, per soli 2 euro, ci accaparriamo la nostra birra. Nel minimarket accanto, è la stessa storia. Decidiamo di cambiare strada, e ritentiamo in un negozietto poco distante ma, con grande stupore, stavolta la risposta è “no”. Dopo qualche minuto, però, riusciamo comunque a mettere in borsa la terza birra nel giro di mezz’ora, grazie alla “dritta” di una comitiva di diciannovenni che sta facendo scorte di vino in un altro minimarket.

Ma se i piccoli alimentari gestiti dai bengalesi fanno affari d’oro, per chi le leggi le rispetta le vendite si sono addirittura “dimezzate”. È il caso di una giovanissima imprenditrice di Campo de Fiori. “La loro concorrenza si fa sentire – ci racconta – noi siamo obbligati a tenere i clienti dentro al locale dopo la mezzanotte, perché a quell’ora l’alcol non può uscire né in vetro, né in plastica, quindi ovviamente la gente preferisce andare da loro”. Insomma, “come al solito i minimarket non rispettano le regole”, gli fa eco Danilo Latronico, titolare della storica Birreria Trilussa, allargando le braccia. Anche per lui gli affari sono diminuiti e il mancato guadagno si aggira attorno al “30 per cento”.

Stando a quello che ci raccontano gli esercenti, queste attività sembrano avere gli anticorpi persino davanti a sanzioni da capogiro. Recentemente, proprio in viale Trastevere, due “minimarket bangla” sono stati multati per 6,600 euro. “Parliamo di cifre che farebbero fallire chiunque eppure – prosegue Latronico – continuano a fare affari”. Questo perché “cambiano nome, cambiano partita Iva, cambiano ragione sociale e quindi alla fine non pagano”.

“Il trucco è che aprono con dei prestanome, chiudono e riaprono le attività di frequente e così non possono essere perseguiti”, spiega Stefano Tozzi, consigliere di Fratelli d’Italia nel I Municipio, “praticamente sono al di sopra della legge”.

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