C'è sempre stato un complesso e complicato rapporto fra Alain Delon e la Francia, un misto di ammirazione e di invidia, se non di amore e odio. Avendo avuto tutto, non gli si perdonava niente. Fosse stato meno bello, se ne sarebbero spiati con meno avidità i guasti del tempo; fosse stato meno bravo, se ne sarebbero sottolineati con meno acrimonia gli infortuni artistici; fosse stato meno intelligente, gli avrebbero rimproverato con meno astio dichiarazioni pubbliche e private.
Va da sé che, replicando colpo su colpo, Delon non ha mai fatto nulla per facilitare le cose. L'insoumis, il non sottomesso, ovvero Il ribelle, era il titolo di uno dei suoi film più belli, e più che un film o un titolo era una dichiarazione di intenti, il manifesto di una vita. Alain Delon era uno che, per sua stessa ammissione, aveva sempre pensato al passato. «Il passato mi abita. Il presente è adesso e il futuro è la morte». Nel 1964, quando non aveva ancora trent'anni e recitava da appena sette, Henri Langlois, il mitico direttore della Cinémathèque di Parigi, gli aveva già consacrato una retrospettiva. Alle sue spalle c'erano Delitto in pieno sole, Rocco e i suoi fratelli, L'eclisse, Il Gattopardo, Colpo grosso al casinò, Crisantemi per un delitto e Il ribelle di Algeri, registi come Marc Allégret, René Clement, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Henri Verneuil... Poi verranno Jean-Pierre Melville, Louis Malle, Jacques Derai, Pierre Grenier-Deferre, Joseph Losey, Valerio Zurlini, José Giovanni, Edouard Molinaro...
Delon è stato l'attore che ha cercato di fare con Sam Peckinpah L'uomo a cavallo, dall'omonimo romanzo di Drieu La Rochelle; che da produttore si è affidato a Molinaro per poter interpretare il Pierre Miox di L'Homme pressé, dal romanzo omonimo di Paul Morand; che quando Melville andò da lui con la sceneggiatura di Le Samouraï, ovvero Frank Costello faccia d'angelo, lo portò nel suo studio e gli mostrò i tre unici oggetti che lo decoravano: una lancia, un pugnale, una katana imperiale... Ancora: Alain Delon è stato quello che durante il Maggio francese recitava al Théâtre du Gymnase Les yeux crevés di Jean Cau, l'ex segretario di Sartre, e si rifiutava di sottostare al diktat dei contestatori che pretendevano il giù al sipario in tutta la città. È stato quello che, in seguito, comprerà all'asta il manoscritto originale dell'appello lanciato il 18 luglio del 1940 dal generale de Gaulle e ne farà dono all'Eliseo. Un quarto di secolo dopo, renderà omaggio al François Mitterrand che lasciava la presidenza, con una lettera aperta in cui si firmava «un saltimbanco di destra»...
Se questo è stato Delon, quel misto di amore e odio di cui all'inizio si è accennato, ha anche il suo bravo carico di ideologia. Qualche anno fa aveva venduto all'asta la sua prestigiosa collezione di arte moderna, e dichiarato che non avrebbe più collezionato alcunché. «Non c'è più tempo. Non ne provo il bisogno, non ne vedo la ragione» aveva spiegato. L'unico artista, forse, per cui avrebbe ancora potuto fare una pazzia, dichiarò allora, era Gericault, il pittore febbrile, ossessionato e ossessivo di La zattera della Medusa, il dandy che si immolò sulle sue tele. «È una pittura che mi corrisponde, con la sua vita, ma anche con la sua morte». Il pittore della decadenza dei corpi e della mente, del gelo che si insinua nell'anima e la svuota, del silenzio che la circonda.
In Les Acteurs, di Bertrand Blier, una specie di omaggioparata del cinema francese, uscito nel Duemila, Delon appare per appena quattro minuti, di notte, l'unico dei mostri sacri presenti (Belmondo, Depardieu, Piccoli, Serrault, per citarne solo alcuni) a essere in scena senza comprimari, la folla che lo osserva. «Forse sarebbe meglio fare qualche minuto di silenzio» diceva. «Io sono l'uomo del silenzio. Ho un volto da silenzio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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