Quella favola a lieto fine che vince l'orrore quotidiano

Prima del salvataggio dei ragazzi ci eravamo quasi abituati alle tragedie ineluttabili. Ora torna la speranza

Quella favola a lieto fine che vince l'orrore quotidiano

Abbiamo inflazionato le parole e adesso non sappiamo più che vocaboli utilizzare. Buon segno: sono tutti fuori. Tutti e tredici. È il miracolo dei miracoli, perché il lieto fine non è stato distillato a gocce, come qualche volta accade, ma è precipitato come una cascata sui protagonisti e sul mondo intero che si era sintonizzato su questa storia.

Merito e fortuna: ci sarà tempo per pesare sulle bilance della razionalità gli equilibri misteriosi di questa vicenda.

Però ci sentiamo tutti più leggeri, anche se di questi ragazzi nemmeno riusciamo a declinare i nomi impronunciabili e mai ci capiterà di incontrarli. Siamo felici perché per una volta è stata sconfitta la maledizione del drago che afferra e non restituisce. Nemmeno l'innocenza dei più piccoli. Questa volta la tenacia e il coraggio di centinaia di persone - dagli speleologi ai sub e ai volontari - l'hanno costretto a riaprire le fauci. La terra ha restituito i baby calciatori e l'allenatore un po' squinternato ma mai vigliacco che aveva avuto la brillante idea di solleticare il mostro.

Questo ritorno è qualcosa che ci tocca profondamente perché troppe tragedie ci avevano abituato a disperare quando ancora nell'aria c'erano particelle di speranza. Poco più di un anno fa abbiamo vissuto in diretta il disastro di Rigopiano con qualche salvataggio rocambolesco, la sciata notturna dei finanzieri, che assomiglia tanto alla gloriosa nuotata al buio dei sub inglesi, ma anche molti morti, troppi morti, compreso qualcuno che sembrava destinato a sopravvivere. Una beffa atroce. Strazio e gioia mischiati dentro un relais trasformato in tomba. Qua è andata in un altro modo: tutte le mamme hanno ritrovato i loro figli. È vero, un sub è morto, ma, insomma, è diverso e quell'incidente non guasta il clima di felicità. Ci voltiamo indietro e troviamo altri drammi che col tempo hanno preso la forma di sciagure. Basti pensare al Kursk, il sottomarino finito in fondo al mare nel 2000 che per noi, con scarsa fantasia, era una variante dell'Ottobre Rosso visto sullo schermo. Ancora oggi, tanti anni dopo, è difficile ripensare senza un brivido di orrore all'agonia spaventosa di chi era a bordo.

Purtroppo chi ha una certa età porta da qualche parte nell'anima, come un bagaglio, il ricordo di quelle catastrofi. Fantasmi che ci fanno compagnia e che non se ne vanno. Mai.

Oggi qualcosa cambia nel nostro Dna. La natura spesso è matrigna, ma il finale cupo non è scritto da nessuna parte. Per tutti noi che portiamo le stimmate di Vermicino è una scoperta sorprendente e inattesa, da capogiro. Ed è ancora più dirompente che questo sia accaduto nei giorni un po' inquietanti del Mondiale di calcio senza l'Italia. Non sapevamo che bandiera sventolare e aspettavamo con impazienza che questo periodo sloggiasse, senza rimpianti. Poi abbiamo cominciato a tifare per questa banda di adolescenti seppelliti in un buco ai confini fra la Thailandia e la Birmania. Ci siamo affezionati a loro e ai sommozzatori che li cercavano e poi provavano a tirarli fuori. Abbiamo ammirato ipnotizzati le facce strappate al nulla e abbiamo profuso lacrime e battimani come nemmeno in una finalissima.

Adesso che il fischio conclusivo è arrivato, ci sembra di aver vinto la partita già persa in partenza. Stragi e massacri riprenderanno, se mai si sono interrotti, ma la luce accesa in queste ore, ne siamo sicuri, non si spegnerà più. Come una pagina epica mandata a memoria in un'esistenza che è quasi sempre prosa.

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