S anta Sofia, uno degli edifici più belli del mondo, è nata come luogo di culto, nel 360 dopo Cristo, e luogo di preghiera è stato fino a meno di un secolo fa. Prima cristiano, poi ortodosso, poi musulmano, soltanto nel 1931, dopo quasi quattro secoli come moschea, il laico Atatürk, padre della Turchia moderna, la volle trasformare in un museo. Non ci sarebbe da scandalizzarsi, dunque, se tornerà a essere una moschea, quella è la sua funzione naturale. Preoccupa invece, e molto, lo spirito che ha portato a questa decisione, non filologico né religioso. Erdogan ha voluto dare un altro segnale di distacco dalla cultura e dal mondo occidentale, sottolineandolo attraverso la religione. Ma è ancora niente, rispetto al non trascurabile fatto che la Turchia sta tentando di riprendersi la Libia, con le armi, dopo averla persa più di un secolo fa. È solo uno dei tanti, e troppi, segnali di una svolta antidemocratica che ormai riceviamo ogni giorno anche da Paesi ben più potenti della Turchia. In Russia è stata appena approvata una riforma della costituzione che permetterà a Putin di guidarla fino al 2036, cioè a vita; che garantisce «la verità storica» sulla seconda guerra mondiale, cioè la storia vista dal Cremlino, che rafforza il divieto dei matrimoni gay, che proibisce di cedere parti del territorio nazionale, bloccando la possibilità di restituire all'Ucraina la Crimea, annessa nel 2014 con un'invasione militare e un referendum poco limpido. Non occorre ricordare la gestione cinese del problema Covid, sia di come il problema sanitario è stato lungamente nascosto al resto del mondo, sia i metodi dittatoriali usati per combatterlo.
Quel che accade a Hong Kong lo vediamo tutti i giorni, la polizia ha fatto i primi arresti grazie alla nuova legge approvata in Cina sulla «sicurezza nazionale»: consente alla polizia locale di arrestare chiunque venga accusato di «atti di sedizione, sovversione e secessione», cioè chiunque protesti a favore della democrazia. L'emergenza Covid ha senza dubbio favorito l'accelerazione di queste mosse, i regimi autoritari sguazzano nelle situazioni di emergenza e di paura, ne approfittano per prendere provvedimenti e posizioni che in tempi normali susciterebbero allarmi internazionali.
Chi si preoccupa, oggi, di quel che accade in Cina, in Russia, in Turchia, se non è legato alla diffusione del virus? Può essere comprensibile il silenzio dei popoli, più interessati al proprio benessere che ai problemi internazionali.
È grave, invece, il silenzio dei governi sulle restrizioni della libertà in quei Paesi: si preoccupano maggiormente di mantenere buone relazioni economiche e commerciali con chi offende il valore supremo della libertà, sul quale abbiamo basato la nostra vita.
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