Se c'è una scienza a cui più si avvicina la politica è la fisica. E tutti sanno che quando si scinde un corpo, mettiamo un atomo o, in ordine di grandezza, un pianeta o una stella, si crea una reazione a catena o, magari, una scissione a catena. La scissione del Movimento grillino ad opera di Luigi Di Maio, che potrebbe portare addirittura ad una supernova, cioè all'esplosione del Movimento come lo stesso Beppe Grillo comincia a profetizzare, potrebbe provocare pure una serie di scismi in altri partiti. Non è una conseguenza scontata ma, in determinate condizioni, potrebbe realizzarsi. Un processo che potenzialmente potrebbe ripetere, nelle ragioni e negli interessi, proprio quello che è avvenuto tra i 5stelle. La ragione è la naturale propensione che muove ministri e sottosegretari verso il centro dello schieramento politico per porre al riparo il governo, in questo caso l'esecutivo Draghi, dalle incursioni e dalle logiche elettorali dei partiti di appartenenza. L'interesse, invece, sono le garanzie a cui aspirano le anime governiste, ormai da più di un anno sospese tra Palazzo Chigi e le leadership dei partiti, che non si sentono per nulla tutelate quando saranno decise le liste elettorali.
Nei 5stelle queste ragioni hanno dato vita, appunto, alla scissione: la politica primordiale, come quella che caratterizza il Movimento, non ha gli strumenti per incanalare il dissenso e individuare un compromesso. Negli altri partiti, invece, si vedono i germi di questo processo, ma non è detto che si arrivi alla rottura. O, meglio, in alcuni casi, vedi Forza Italia, già ci sono state scissioni (Toti e compagni), ma il numero dei fuorisuciti è rimasto basso. Nella Lega, invece, i movimenti tellurici si avvertono e sono sempre più evidenti. All'indomani del secondo turno delle amministrative le scosse potrebbero farsi più intense. Del resto - a quanto si sa - il primo ad essere informato da Di Maio della nascita di «Insieme per il futuro» è stato proprio Giancarlo Giorgetti.
Un particolare che offre lo spunto per un ragionamento. Spesso, anche quando si creano le condizioni, il maggior freno che scoraggia le scissioni è l'assenza di un approdo che accolga i fuoriusciti. Se, però, c'è un battistrada che rompe con il vecchio partito di appartenenza e si mette a disposizione per un altro soggetto politico, altri potrebbero seguirlo, provenienti da altre forze. Magari, potrebbero arrivare a sintesi o a federarsi tutti i draghiani che albergano nella maggioranza di governo. Torna, quindi, la suggestione del partito di Draghi senza Draghi. C'è, però, un problema: gli attuali gruppi dirigenti dei partiti della maggioranza di governo, per evitare una simile prospettiva, avrebbero un'unica strada, quella di non dare il tempo alla catena delle scissioni di mettersi in moto e creare un altro o altri soggetti politici. Cioè debbono bloccare il processo all'origine. E l'unico modo è quello di aprire la crisi ed andare alle elezioni anticipate. Un'operazione complicata quando c'è una guerra in atto.
Ma, al di là di questa valutazione, vale la pena rilevare il paradosso della politica, per cui delle potenziali scissioni che nascono nel nome di Draghi potrebbero diventare la causa per cui potrebbe cadere il governo Draghi.
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