Scontro al centro

Le battaglie come le guerre, da che mondo è mondo, si vincono sulla linea del fronte, su quel fazzoletto di terra che divide due eserciti o sul confine che separa due Paesi

Scontro al centro

Le battaglie come le guerre, da che mondo è mondo, si vincono sulla linea del fronte, su quel fazzoletto di terra che divide due eserciti o sul confine che separa due Paesi. È la conquista o la perdita di un pezzo di territorio che determina la vittoria o la sconfitta. Questo vale pure in politica. Ora se prenderà corpo il cosiddetto terzo polo, cioè l'alleanza tra Carlo Calenda e Matteo Renzi, la sottile linea rossa, la zona nevralgica, sarà quella parte di elettorato moderato conteso tra il nuovo soggetto e il centro-destra. Enrico Letta, infatti, rischia di diventare un comprimario di queste elezioni, si è infilato in una ridotta di sinistra all'insegna di un comitato di liberazione anacronistico contro la destra. Roba del secolo scorso. Un errore che più trascorrono le settimane di questa campagna elettorale e più appare madornale, al punto che forse davvero la teoria del «voto utile», o meglio «inutile», può essere applicata al Pd: visto l'esito a questo punto quasi scontato delle urne dare il proprio consenso al «campo pseudo largo» di Letta può apparire addirittura uno spreco.

Sul terzo polo il discorso è un pochino più complicato. È evidente che la gestazione della nuova creatura della politica italiana è stata contraddittoria e pressappochista. Renzi ha fatto il suo, ma paga gli sbagli e le contraddizioni del passato. Calenda, invece, ha sommato talmente tanti errori nell'ultima settimana da far apparire il suo nuovo partner se il matrimonio sarà celebrato - un campione di coerenza. Il bacio a Letta e poi, tre giorni dopo, il divorzio gli hanno appiccicato addosso l'immagine dell'inaffidabile e hanno dimostrato che in fondo in fondo nel dopo elezioni il suo cuore batte ancora a sinistra. Detto questo, la riduzione del numero dei parlamentari che ha fatto crescere il numero di quelli in cerca d'autore pure nel centro-destra, cioè pronti ad accasarsi con altri per aver un posto al sole assicurato (da Maria Stella Gelmini a Mara Carfagna, a Gabriele Albertini); ed ancora una domanda di serietà e moderatismo dopo l'ubriacatura grillina che privilegia le nuove offerte; ed infine l'ombra di Draghi, di cui Calenda e Renzi sono accoliti, danno ossigeno al nuovo soggetto.

Diciamo subito che il centro-destra non corre rischi ma con una legge elettorale come l'attuale, che ha i meccanismi del flipper, non si può mai dire. Ecco perché una coalizione seria di fronte al nuovo attore che sta entrando sulla scena, dovrebbe presidiare il suo elettorato moderato. È un elemento strategico di non poco conto in queste elezioni. Perché a questo punto l'unica incognita sul piano teorico - è se il terzo polo attirerà su di sé una quota dell'elettorato centrista tale da rendere meno chiara la vittoria del centrodestra. Un rischio che la coalizione potrà scongiurare solo se valorizzerà (nei temi programmatici come nelle candidature) l'unica forza del centro-destra che ha rapporti naturali con quell'elettorato, cioè Forza Italia.

Non si tratta solo di una questione di numeri: Forza Italia, i suoi alleati possono dire ciò che vogliono, con la sua presenza nel Ppe, con il suo profilo europeista e moderato, svolge ancora un ruolo di garante del centro-destra in Europa e Oltreoceno. Se si indebolisse, se la sfida al centro non fosse raccolta con attenzione, i primi a farne le spese sembra un paradosso - potrebbero essere proprio Salvini e la Meloni.

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