Che la variante inglese del coronavirus non sia l'unica in circolazione non è una novità. Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all'università degli Studi di Brescia, direttore del Laboratorio di microbiologia dell'Asst Spedali Civili, ne ha dato la conferma con un'intervista all'Adnkronos. Il medico ha riferito di una variante italiana simile a quella inglese, che si sarebbe però sviluppata prima: "Precede la variante emersa solo a fine settembre nel Regno Unito per poi diffondersi in Europa, Italia inclusa, e potrebbe anche esserne un precursore".
I punti di contatto delle due mutazioni sembrano essere molto simili: "Ha diversi punti di mutazione nella proteina Spike. Come quella inglese, anche la variante italiana ha una mutazione in un punto nevralgico dell'interazione Spike/recettore cellulare, più precisamente in posizione 501". Le varianti si distinguono perché quella italiana "ha anche una seconda mutazione in posizione 493, che rende la sua proteina Spike leggermente diversa da quella del virus pandemico che tutti oggi conosciamo". Come spesso accade nella scienza, la mutazione italiana del coronavirus è stata scoperta casualmente "osservando una persistenza virale anomala in un paziente che aveva sofferto di Covid-19 in aprile". Quello analizzato dal professor Caruso è uno di quei casi di cui si è spesso raccontato. Il paziente, nonostante la guarigione clinica, continuava a manifestare tamponi positivi con elevata carica virale anche a distanza di mesi. A novembre si è deciso di sequenziare il virus, ottenendo il risultato descritto. Già in una campionatura di coronavirus dello stesso paziente prelevata in agosto si manifestava la mutazione.
"Questa nuova variante italiana potrebbe essersi generata intorno ai primi di luglio. Quel che possiamo affermare dagli studi del collega Ciccozzi è che la nostra è di certo la prima evidenza di mutazioni nella proteina Spike a livello della posizione 501 in Italia e forse, almeno ad oggi, in Europa", afferma Caruso. Alla luce degli studi effettuati, la domanda sulla possibile inefficacia del vaccino attualmente in commercio è d'obbligo. Ma il professor Caruso rassicura: "Il vaccino genera una risposta complessa verso tante aree della proteina Spike. Anche se vi fossero alcuni anticorpi non in grado di riconoscere una zona mutata come quella in posizione 501 o 493, ce ne sarebbero sicuramente altri in grado di legarsi a porzioni non mutate della proteina". Questo legame sarebbe sufficiente per ottenere l'effetto desiderato.
Le sequenze dei mutanti virali ottenute a Brescia potranno ora essere cimentate con i sieri dei pazienti negativizzati della prima ondata. Questo permetterà di capire la rispota anticorpale dei diversi ceppi in circolazione.
"Appena disponibili, verranno valutati in modo analogo anche sieri di pazienti vaccinati. Io resto al momento ottimista", ha concluso Arnaldo Caruso. Poco fa l'infettivologo Matteo Bassetti ha commentato: "Variante italiana causa picco casi novembre".
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