Se da un lato c'è gioia per la scoperta di una nuova specie di crostaceo che vive negli abissi del mare, dall'altro c'è amarezza: nemmeno il tempo dell'annuncio che, sull'animale, si sono trovate tracce di inquinamento da parte dell'uomo.
Andiamo con ordine: i ricercatori dell'Università di Newcaste, come riportato da Repubblica, hanno scoperto un minuscolo crostaceo simile ad un gambro e di circa due pollici di lunghezza (circa 5 cm), l'Eurythenes plasticus, che abita nella Fossa delle Marianne, la più profonda depressione del mondo (- 10.900 metri) situata nel bel mezzo dell'Oceano Pacifico ad est delle isole omonime ed al largo delle Filippine.
Nonostante la profondità in cui vive, secondo la ricerca supportata dal Wwf e pubblicata sulla rivista scientifica "Zootaxa", in alcuni individui di questo anfipode (cioè piccoli crostacei caratterizzati dal corpo compresso lateralmente ed un po' arcuato) sono state trovate tracce di Pet (polietilene tereftalato), ossia un tipo di plastica usata in una grande varietà di prodotti di largo uso, dalle bottiglie per l'acqua agli indumenti sportivi.
La preoccupazione degli esperti
Il motivo del nome "plasticus" è dovuto, quindi, alla plastica trovata nella sue viscere. "La specie appena scoperta "Eurythenes plasticus" ci mostra quanto siano gravi gli effetti della gestione inadeguata dei rifiuti di plastica - afferma Isabella Pratesi, direttore Conservazione di Wwf Italia - specie che vivono nei luoghi più profondi e remoti della terra hanno già ingerito plastica prima ancora di essere conosciute dall'umanità. La plastica è nell'aria che respiriamo, nell'acqua che beviamo e ora anche negli animali che vivono lontano dalla civiltà umana".
Ma Alan Jamieson rincara la dose. "Con questo nome volevamo sottolineare il fatto che dobbiamo agire immediatamente per fermare lo 'tsunami' di rifiuti di plastica che si riversa nei nostri oceani", ha affermato il ricercatore capo dell'Università di Newcastle.
La dimensione abnorme dell'utilizzo della plastica è oggetto di numerose ricerche da parte degli studiosi che stanno dimostrando la dimensione dominante, pervasiva e distruttiva delle attività umane sugli equilibri dinamici dei sistemi naturali del nostro pianeta.
Altre specie a rischio
L'anno scorso, un'importante ricerca pubblicata su "Nature Communications" aveva dimostrato gli effetti nefasti della plastica sulle comunità marine del batterio "Prochlorococcus", fondamentale microrganismo marino che è alla base di almeno il 20% della produzione di ossigeno che proviene dai batteri marini: le nanoplastiche presenti nei loro corpi possono influenzare negativamente la composizione delle comunità marine di questi microrganismi e la loro capacità fotosintetica.
Un trattato internazionale
Comunque, c'è ancora un barlume di speranza. "Non tutti gli individui della nuova specie "E. plasticus" contengono plastica.
Quindi, c'è ancora speranza che molti altri esemplari ne siano privi - dichiara la Pratesi - per aiutare a proteggere le specie marine ed i loro habitat naturali, si sta lavorando, anche in Italia, per un trattato internazionale legalmente vincolante per porre fine all'inquinamento marino della plastica".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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