L'obiettivo primario della politica economica e fiscale del governo Draghi è ben preciso. Nel centro del mirino c'è la crescita. Ogni altro tema, dalle pensioni al lavoro, è secondario o funzionale a massimizzare l'aumento del Prodotto interno lordo nel medio e lungo periodo. Le scelte di oggi, infatti, hanno come orizzonte la fine del decennio. Il punto è che l'Italia si trova in mano carte mai viste prima: sono i 200 miliardi di fondi europei Next Generation. E che questa è l'occasione per trasformare gli anni della pandemia in una svolta virtuosa che ci collochi stabilmente tra i Paesi locomotiva d'Europa. Non possiamo rischiare di sederci sulle percentuali da capogiro di crescita del Pil previste dalla Nedef per quest'anno (almeno il 6%) e per il prossimo (4,7%). Perché poi, nel 2023, il Pil dovrebbe rallentare a +2,4% e già nel '24 tornare sotto quota due per cento (+1,9%). «È necessario che la ripresa si consolidi nel tempo portando il Pil a livelli di crescita stabilmente maggiori rispetto a quelli a cui siamo abituati - ha detto lunedì scorso il presidente di Confindustria Carlo Bonomi - perché non possiamo più permetterci una crescita sotto il 2%». La sintonia degli industriali con Draghi è nota. E l'ex presidente della Bce sa bene che nel 2022 si giocherà la partita del nuovo patto di stabilità. Il cui esito dipenderà dal rapporto con i cosiddetti frugali, pronti a dare battaglia, e non sarà una passeggiata di salute. Tra tutti spicca il caso del nostro debito pubblico che, come minimo, in rapporto al Pil dovrà tornare ai livelli pre-Covid entro il 2030. Oggi è vicino 156%: deve scendere di oltre 20 punti. Per questo il ritmo di crescita del denominatore - il Pil - va tenuto alto. Oltre che per poter star seduti al tavolo dei grandi d'Europa in maniera stabile. In questa chiave Mario Draghi ha una «visione politica» sganciata da quella dei partiti che lo sostengono, solitamente ancorati a obiettivi di più breve periodo. Dopodiché, da quello che abbiamo capito ieri a proposito della prossima manovra, l'obiettivo della crescita resta minacciato da diversi interessi di bottega. Prima di tutto da quelli legati al reddito di cittadinanza tanto caro ai 5 Stelle. Il miliardo in più stanziato per '22 e '23 potrebbe però essere neutralizzato dalla prevista revisione della misura di sostegno, rafforzando le politiche attive e i controlli. Per quanto riguarda le pensioni, gli scalini biennali proposti per allontanarsi da quota 100 (tanto cara alla Lega) sono una dimostrazione evidente di quali siano le priorità italiane ed europee.
Mentre il taglio del cuneo fiscale (che piace soprattutto a Forza Italia e Italia Viva) rappresenta in definitiva la misura più liberale e più virtuosa per liberare redditi e spingere i consumi. Purtroppo, almeno per ora, ancora troppo timida.
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