L’autunno caldo preannunciato dal piano sgomberi del Viminale non ha atteso la fine dell’estate. Ad imporre un’accelerata improvvisa è stata la presenza di alcune bombole del gas all’interno dell’immobile di via Raffaele Costi, occupato un decennio fa da rom e migranti. È già andato a fuoco l’estate scorsa e per puro caso non si è consumata una tragedia. Il ministero, che dopo la nuova direttiva sugli sgomberi ha i riflettori puntati addosso, non vuole rischiare. E così alle otto di stamattina i blindati già avevano cinturato l’edificio per mettere in sicurezza l’area ed accompagnare gli abusivi alla porta (guarda il video). O per lo meno quelli rimasti all’interno della struttura. Delle 250 persone presenti nel palazzone, infatti, almeno una quarantina mancano all’appello. “Si sono allontanati prima dell’arrivo delle forze dell’ordine, probabilmente perché clandestini senza documenti”, spiega Roberto Torre del comitato di quartiere Tor Sapienza, da anni impegnato a denunciare l’occupazione.
Chi non è riuscito a dileguarsi per riparare chissà dove, invece, è stato trasportato in Questura per le operazioni di segnalamento ed identificazione. Gli sfollati radunati attorno alla struttura, adesso reclamano una soluzione abitativa “degna”. Le rimostranze sono sempre le stesse: “Non vogliamo dividerci dalle nostre mogli e dai nostri bambini”. È questo lo slogan che continuano a salmodiare rom e migranti rimasti all’addiaccio. Non ne vogliono sapere di accettare le soluzioni offerte dal Campidoglio. Sembra di rivivere le giornate dello sgombero di palazzo Curtatone. Stavolta, però, non ci sono collettivi e antagonisti a rinfocolare le proteste e le operazioni si concludono senza problemi. A mezzogiorno il palazzo è già evacuato. D’altronde, qui, non siamo in pieno in centro e, questa occupazione, non è una fonte di reddito per nessuna delle sigle antagoniste che guadagnano dall’illegalità. Solo l’Unione sindacale di base si è mobilitata contro lo sgombero, ma solo a parole, con un comunicato in cui chiede al “governo di bloccare le politiche di repressione e la speculazione sulla pelle degli ultimi”.
Adesso però si apre la seconda fase. Quella in cui bisogna ricollocare gli sfollati e combattere con le loro pretese. “Avevano promesso che ci avrebbero dato una casa popolare, invece, ci hanno lasciato in mezzo ad una strada”, attacca un rom che si è parcheggiato con carrelli e coperte a pochi metri dall’immobile. “Noi migranti soffriamo molto, sappiamo che stare qui dentro è illegale ma non possiamo neppure dormire in mezzo alla strada”, ci spiega in inglese un ragazzo del Gambia, che a via Raffaele Costi si era trasferito da appena qualche settimana. “Ora prendo la mia roba e me ne vado a via Tiburtina, dove ci sono degli altri alloggi”, aggiunge un suo connazionale. È chiaro, quindi, che anche i migranti sgomberati da Tor Cervara ora vogliano riparare nella tendopoli allestita dai volontari del Baobab a due passi dalla Stazione Tiburtina. Proprio come hanno fatto qualche giorno fa anche una ventina di eritrei sbarcati dalla nave Diciotti. E aspettando l’intesa tra Campidoglio e sfollati, c’è da scommettere che saranno in molti a cercare rifugio nei canali di accoglienza non ufficiali.
Anche se la sindaca di Roma, Virginia Raggi, assicura che la Sala Operativa Sociale del Comune si è già mossa per includere gli sfollati all'interno "di un percorso più ampio verso il raggiungimento dell'autonomia e di condizioni di vita più dignitose".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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