Silvia Romano convertita all'Islam: "Non sarebbe sopravvissuta"

La conversione all'Islam di Silvia Romano potrebbe essere stata dettata dalla condizione di prigionia: "Non sarebbe sopravvissuta", spiega padre Paolo Latorre

 Silvia Romano convertita all'Islam: "Non sarebbe sopravvissuta"

Luci ed ombre sulla conversione all'Islam di Silvia Romano. La giovane cooperante milanese, sentita dagli inquirenti subito dopo l'atterraggio all'aeroporto di Ciampino, ha raccontato di aver abbracciato il nuovo credo "spontaneamente" scegliendo di adottare il nome Aisha, considerata "la madre dei credenti" e sposa di Maometto. La decisione sarebbe maturata a metà prigionia, dopo aver letto il Corano. Ma il dubbio che la conversione sia stata dettata dalle circostanze, nel tentativo di trovare conforto durante i mesi dell'isolamento, oggi, sembra più che una possibilità remota.

"Essendo donna considerata la sua esperienza e la sua giovane età non sarebbe stato facile resistere se non si fosse convertita". A parlare è padre Paolo Latorre, classe 1967, Cavaliere della Repubblica e missionario comboniano in Kenya da 16 anni, una vita dedicata ai miseri negli slum di Nairobi dove la realtà supera di gran lunga la fantasia. La vicenda della cooperante italiana la ha seguita da Nairobi, a oltre settecento chilometri di distanza da dove Silvia Romano è stata rapita. "In Kenya c' è una forte radicalizzazione islamica - spiega alle pagine de Il Messaggero - un fenomeno che viaggia veloce ed è carsico".

Non è un mistero che gli Shabab colpiscano laddove la popolazione è più vulnerabile e assoggettabile. "E'chiaro che gli effetti economici negativi finiranno per produrre altra disoccupazione e miseria tra i giovani - spiega padre Latorre - ed è in queste sacche di disperazione e rabbia che vanno a pescare gli Shabab. Per quello che vedo non potrà che essere così purtroppo".

Stando a quanto riferisce il missionario comboniano, la radicalizzazione dell'Islam starebbe avanzando a passo rapido in Africa Orientale approdando con prepotenza persino nella città di Nairobi, storicamente di credo presbiteriano. "Qui è meno accentuato. Certo ci sono problemi, ma il quadro è meno evidente e drammatico. Il fenomeno si concentra sulla costa con modalità abbastanza evidenti. - continua - Esistono fondazioni attive che hanno tantissimo denaro, forse fondazioni finanziate dai paesi del Golfo e poi ci sono gruppi che hanno il controllo del commercio. Sulla costa in passato sono state chiuse moschee che reclutavano e all' interno sono stati trovati materiali e armi".

Nel 2015 gli Shabab decapitarono 148 studenti cristiani nel campus universitario di Garissa: una strage dai numeri impressionanti. "Stragi così non ci sono più state. - assicura padre Latorre - Garissa però è lontana da Nairobi (ed è la zona dove è stata rapita anche Silvia ndr). Ogni tanto a noi arrivano degli allarmi specifici sul telefonino. L'ultimo tre mesi fa; ci metteva in guardia di evitare i luoghi affollati, di non andare negli hotel, nei mercati. Fortunatamente non è accaduto nulla.

L' ultimo attacco è avvenuto l' anno scorso in un hotel frequentato da stranieri".

Nonostante tutte le precauzioni del caso, il pericolo è sempre dietro l'angolo: "La radicalizzazione è un problema anche per l' Islam moderato", conclude il missionario.

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