Si può essere un assassino senza risultare «crudele»? Il buon senso farebbe rispondere «no». Ma se dall'ambito etico-morale passiamo alla sfera tecnico-giuridica, la prospettiva cambia. E di molto.
In diritto infatti la «crudeltà» - intesa come possibile aggravante della pena - ha una connotazione ben definita; che la giurisprudenza della Cassazione spiega bene: «L'aggravante dell'aver agito con crudeltà verso la persona richiede che la condotta dell'agente sia connotata da modalità tali da rendere evidente la volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive che esulano dal normale processo di causazione dell'evento»; dove per «causazione dell'evento» si intende - con parole semplici - l'uccisione di una persona.
È necessario partire da tale assunto dottrinario per comprendere a pieno la decisione della Suprema Corte che - chiamata a esprimersi sul caso dell'omicidio di Melania Rea - ha escluso per Salvatore Parolisi (nonostante le 36 coltellate con cui ha ammazzato la moglie) «l'aggravante della crudeltà». Tale condotta infatti indica, a parere dei togati di piazza Cavour, che si è sì trattato di un «dolo d'impeto» finalizzato ad uccidere, ma che «la mera reiterazione dei colpi (pur consistente) non può essere ritenuta come aggravante di crudeltà con conseguente aumento di pena» (Parolisi è stato condannato a 30 anni ndr ). «L'abbandono in stato agonico della moglie Melania, da parte di Parolisi - scrive la Cassazione - è anch'esso condotta ricompresa nel finalismo omicidiario, non potendo assimilarsi la crudeltà all'assenza di tentativi di soccorso alla vittima».
Stessa dinamica per la condanna definitiva di Danilo Restivo a 30 anni di reclusione per l'omicidio di Elisa Claps, scomparsa a Potenza il 12 settembre 1993 e trovata cadavere 17 anni dopo, il 17 marzo 2010, nel sottotetto della Chiesa della Santissima Trinità di Potenza. Ecco quanto scrivono gli «ermellini»: «Un delitto di straordinaria gravità compiuto da una persona capace di intendere e volere come provano anche la lucida strategia difensiva posta in essere e l'autocontrollo mostrato in giudizio». Ma anche qui i Supremi Giudici hanno esclusa l'aggravante della crudeltà, pur senza ridurre la pena precedentemente inflitta a Restivo.
Medesima «filosofia» nel pronunciamento della Cassazione con cui è diventata definitiva la condanna a carico di Domenico Iania, il 55enne residente a Piacenza, reo confesso dell'omicidio di Chiara Brandonisio, la 34enne uccisa a Ceglie del Campo l'8 luglio 2010. Nel dispositivo la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa dell'imputato, ma lo ha invece accolto in riferimento all'esclusione dell'aggravante della crudeltà, riconosciuta al contrario dalla Corte d'Assise d'Appello di Bari nel giugno 2012. «Come può non esserci stata crudeltà in un atto così efferato? Per essere giudicato crudele avrebbe dovuto ridurla a pezzi?», ha commentato all' Ansa Piero Brandonisio, fratello di Chiara; una reazione più che comprensibile che rispecchia l' idem sentire di tutti quelli che non sono esperti di codice penale.
Idem per il verdetto all'ergastolo del 33enne Alex Maggio che il 3 agosto 2013 a Saronno uccise a calci e pugni la commerciante Maria Angela Granomelli, 60 anni. «Esclusa l'aggravante della crudeltà, riconosciuta la finalità della rapina», la motivazione della Cassazione.
Che non rinvenne, nel caso di specie, quel « quid pluris rispetto all'attività necessaria ai fini della consumazione dei reato, rendendo la condotta stessa particolarmente riprovevole per la gratuità e superfluità dei patimenti cagionati alla vittima con un'azione efferata, rivelatrice di un'indole malvagia e priva del più elementare senso d'umana pietà».Parola di Giudici Supremi.
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