Stavolta non è populismo. Cari politici, meno ferie

Ma come si fa quest'estate a tirare giù la saracinesca della politica? A spegnere il pc, chiudere l'ufficio e scapparsene al mare?

Stavolta non è populismo. Cari politici, meno ferie
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Ma come si fa quest'estate a tirare giù la saracinesca della politica? A spegnere il pc, chiudere l'ufficio e scapparsene al mare? Con tutti i dossier aperti ancora lì sul tavolo in cerca di una soluzione, poi. C'è il Dl Semplificazioni che si complica ogni giorno che passa; c'è il decreto Rilancio, o meglio «Rinvio», che ha assunto un significato vagamente calcistico, nel senso di palla gettata dall'altra parte del campo per prendere tempo; il nodo delle concessioni autostradali da sciogliere mentre si passano le giornate in coda; le vertenze sul futuro dell'Ilva e della Whirlpool, che tengono in ansia migliaia di famiglie; gli 85mila docenti che mancano all'appello per il prossimo anno scolastico, avvolto nell'incertezza... L'elenco è sterminato e serve appena da promemoria. La verità è che bisogna rimettere in piedi un Paese tra le macerie lasciate dallo tsunami Coronavirus. Qualcuno ha paragonato il momento che stiamo vivendo al dopoguerra, e di certo i fautori del boom economico dopo il '45 non avevano tra le priorità quella di prenotarsi una vacanza. L'ha ribadito ieri il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, davanti a chi questa crisi la sta scontando sulla propria pelle, ovvero i giovani imprenditori: «Mi auguro che quest'anno il Parlamento non vada in ferie, con l'emergenza in atto immagino che saranno più concentrati sul loro lavoro...».

Non si tratta di populismo a buon mercato o di un rigurgito anti casta. E non è nemmeno una questione di puro principio, della serie chi ha lo stipendio pagato dalla collettività dia l'esempio e si rimbocchi le maniche. D'altronde la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati un impegno in tal senso l'ha già preso, annunciando che «il Senato in agosto non andrà in ferie. Il Paese è in difficoltà e ha bisogno di risposte immediate». Ecco, mettiamola così: 945 eletti, di fatto più garantiti di molti altri connazionali usciti a pezzi dal lockdown, hanno un'opportunità irripetibile: dimostrare che luglio e agosto possono essere mesi da immolare sull'altare della ricostruzione. Senza scomodare valutazioni di natura etica o morale, né più né meno di quello che faranno sei italiani su dieci, rassegnàti a rinunciare anche a un solo giorno di relax, per motivi economici prima ancora che per la paura di un contagio di ritorno (sondaggio Noto per il Sole-24 Ore). Comprensibile, dopotutto, ed è un dramma per i nostri operatori turistici anch'essi in ambasce. Come si fa ora a «staccare», se si ha un'attività riaperta tra cento ostacoli e i dipendenti ancora in cassa integrazione?

Attenzione, nessuno invita i nostri rappresentanti a una gara di pauperismo, peggio ancora se di facciata, o a nascondersi in un bunker a Ferragosto. Solo che giustificare 40 giorni filati di vacanza, come nel 2017 dei record, quest'estate sarà oggettivamente più complicato agli occhi del popolo sovrano. Insomma, se non i vitalizi, tagliate almeno le ferie.

Ci si è lamentati a lungo di un governo che va avanti a colpi di decreti, magari è il momento di fare tornare centrale il Parlamento. Dicono che questa sarà la stagione del turismo di prossimità. Onorevoli, cominciate voi: non allontanatevi troppo da Montecitorio.

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