Le ragioni dello scandaloso compenso di Carlos Tavares, numero uno di Stellantis, stanno tutte negli occhi di chi guarda, con in testa una strana idea di economia: un sistema di produzione di ricchezza non libero ma assoggettato alla volontà popolare, agita per mezzo del potere esecutivo. Non è una dittatura statalista, però piacerebbe tanto. Si apre una fabbrica all'estero? Intervenga il Governo. Una vettura si produce altrove? Il Ministro si faccia sentire. Un manager guadagna tanto? Si apra un tavolo a Chigi.
Stellantis non è nostra, ma dei suoi azionisti, tra cui probabilmente chi di noi ha investito i risparmi per vederli fruttare. Né l'azienda né gli azionisti sono buoni o cattivi, ma solo bravi o scarsi a produrre ricchezza. Il 90% del compenso di Tavares è legato agli obiettivi: evidentemente è stato bravo. Tuttavia, se questo può star bene a Elkann e soci, non è detto che stia bene al Paese.
Le economie di successo riescono a fare coincidere l'interesse degli azionisti con quelli sociali: la fabbrica la metto qui e non là. Perché ciò accada lo Stato non deve pagare l'impresa con sovvenzioni e incentivi vari, bensì creare le condizioni di contorno che attraggano investimenti e produzioni. Se l'energia costa cara, apri centrali nucleari; se la giustizia non funziona, assumi cinque o sei top manager di Amazon: i pacchetti arrivano, vedrai che arriveranno pure le sentenze. Così per il mercato del lavoro, per l'istruzione, la burocrazia e il fisco. Purtroppo la socialdemocrazia che regge l'Europa non la vede così. Chiede all'impresa di convergere sugli interessi sociali, ma lo Stato non deve fare altrettanto, anzi, può sfornare vincoli, regolamenti e burocrazia a piene mani. Ad esempio, mica è normale che per accedere a un sito web servano due clic, perché uno se ne va per accettare i cookies.
Tutto giusto, ma Fiat ha goduto per decenni di sostegni pubblici in varie forme. Sì, però, a parte che in cambio lo Stato ha pure ottenuto fabbriche nel mezzo del nulla, andare indietro è roba per storici, e non aiuta. Adesso gli unici soldi in ballo sono gli incentivi, che non sono per Stellantis ma per vendere queste benedette macchine elettriche che nessuno vuole, per giunta fabbricate all'estero. L'opinione pubblica e il Governo, invece di buttare questo quasi miliardo dei contribuenti, ottengano da Bruxelles di cancellare le multe sulle emissioni eccedenti i 95 gr/km di CO2. Stellantis metterebbe la foto del Governo in ogni sede.
Piuttosto, c'è un dettaglio negli emolumenti di Tavares. Oltre al compenso di 13,5 milioni, determinato dai risultati, ha ricevuto un ulteriore bonus di dieci milioni. Per cosa? Per aver trasformato Stellantis in un'azienda di mobilità tecnologica sostenibile. Che vorrà dire? E perché sarebbe tanto importante da quasi raddoppiargli il compenso? Nel contempo, la Borsa sta premiando il titolo. Per i risultati commerciali e industriali, si spera. Ma non è che quel banale aggettivo buttato lì, sostenibile, abbia avuto un qualche peso nei giudizi degli analisti finanziari? Certo, se gli azionisti sganciano dieci milioni, significa che il guadagno per loro è stato importante. Dalla sostenibilità dell'azienda? Sostenibile in senso ambientale, visto che sull'occupazione qualche sopracciglio ancora si alza. Se così fosse, vorrebbe dire che, mentre la politica non riesce a incidere sulle scelte occupazionali di quest'impresa, la finanza ci riesce benissimo sui temi green.
In conclusione, l'opinione pubblica non si indigni per come azionisti
privati di aziende private pagano i loro manager. Si occupi piuttosto dei suoi dipendenti, quei civil servants che dovrebbero rendere il Paese attrattivo per le imprese e non respingerle, come avviene da dopo il boom economico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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