La Storia lo aveva già archiviato

Si è spento a 90 anni il "padrone" di Cuba. Ha tenuto testa agli Usa. Ma ha perseguitato i suoi "sudditi"

La Storia lo aveva già archiviato

Pubblichiamo un inedito scritto negli ultimi anni di vita da Mario Cervi, cofondatore del «Giornale», scomparso un anno fa.

Fidel Castro per oltre mezzo secolo è stato tra i protagonisti della scena internazionale. Difficile spiegare esaurientemente chi sia stato, cos'abbia rappresentato, come dovrà essere ricordato. C'è stato il Castro combattente per la libertà contro Fulgencio Batista, uno dei tanti generalucoli espressi dalla golpistica latino-americana. Ma c'è stato anche il dittatore che, come i Batista e perfino peggio dei Batista, sottopose Cuba alla repressione poliziesca, facendone un estremo santuario di un'ideologia condannata dalla storia, il marxismo leninismo. Non si può assimilarlo ai più servili e biechi servi di Mosca, non fu né un Honecker né un Husak. Ma della protezione e dei foraggiamenti sovietici ha fatto a lungo uno scudo contro la libertà. La fine storica di Fidel Alejandro Castro Ruz è già arrivata. Il fratello Raul, erede del potere, è soltanto una sbiadita controfigura del líder máximo.

Nato il 13 agosto 1926 da genitori benestanti di origine galiziana, Fidel aveva studiato a Santiago de Cuba nel collegio La Salle, e poi all'Avana nell'esclusivo istituto de Belén, gestito dai gesuiti. I gallegos sono famosi in Spagna per la loro furbizia, i gesuiti lo sono a livello mondiale. Da queste radici Fidel trasse forse le doti di astuzia che, abbinate a coraggio e cinismo straordinari, contrassegnarono la sua esistenza. Dai gesuiti Fidel apprese la fierezza della hispanidad e il disprezzo per i materialisti anglosassoni che avevano fatto di Cuba il dominio della United Fruit e il bordello degli Usa. Eppure gli Usa lo affascinavano. Quando nel 1948 sposò Mirta Diaz-Balart, studentessa di filosofia - lui s'era iscritto a giurisprudenza -, trascorse una parte del viaggio di nozze nel grande Paese della bandiera a stelle e strisce. Avendo aderito all'estremismo nazionalista di sinistra che attirava tanti giovani, il 26 luglio 1953 fu tra gli assaltatori della caserma Moncada nella provincia di Oriente. Un disastro. Castro fu fatto prigioniero, processato, condannato a 15 anni di reclusione. Pronunciò in Tribunale la frase che i suoi numerosi laudatori non si stancano d'evocare: «La storia mi assolverà». In realtà non l'ha assolto.

Liberato grazie a un'amnistia nel 1955, Castro fu esule in Messico e negli Usa. Tornò clandestinamente a Cuba su un'imbarcazione, il Granma, da cui ha preso poi nome il quotidiano del regime, tra i più infami esempi di stampa abbiettamente cortigiana che sia possibile ricordare. Il nuovo movimento clandestino compì il suo primo assalto il 2 dicembre 1956 lasciando sul terreno decine di cadaveri. Tra i sopravvissuti, «Che» Guevara e Raul Castro. La resistenza diventava tuttavia più forte, e Batista, dopo aver lanciato un'ultima offensiva per stroncarla, si rassegnò alla sconfitta. Il primo gennaio del 1959 i ribelli entrarono all'Avana: Fidel Castro aveva trionfato.

È inutile a questo punto allineare le cariche formali - comandante in capo delle forze armate, inizialmente - che Castro ebbe. Il padrone di Cuba era lui, e a lui toccò di visitare la Casa Bianca e d'incontrarsi con il vice presidente Richard Nixon che lo giudicò naïf, ingenuo, «ma non necessariamente comunista». Il presidente Eisenhower aveva sbobbato il colloquio per impegni di golf.

La rottura non tardò. Cuba, nel febbraio 1960, aveva stretto un accordo con l'Urss per forniture di petrolio, ma le raffinerie di Cuba, di proprietà Usa, si rifiutarono di lavorarlo e furono espropriate. Alla rottura delle relazioni diplomatiche tra Usa e Cuba seguì un marcato avvicinamento di Castro all'impero sovietico. Firmò con Kruscev un accordo per aiuti economici e militari. Ad aggravare la tensione sopravvenne il 17 aprile 1961 lo sbarco di esuli cubani addestrati dalla Cia nella «Baia dei porci». Secondo i cervelloni dell'intelligence quel colpo di mano avrebbe dovuto accendere una fiammata rivoluzionaria anticastrista. Il presidente Kennedy si rifiutò di dare appoggio aereo all'impresa chiusa con 104 morti e 1189 catturati tra gli assalitori. A quel punto Castro non lasciò più spazio ad alcuna ambiguità. Disse che Cuba avrebbe adottato come dottrina nazionale il comunismo. Si affermò che Giovanni XXIII avesse scomunicato Fidel, il che non era vero. Ma un dignitario vaticano spiegò che la scomunica, in forza d'un decreto di Papa Pacelli, si abbatteva «ipso facto» su chiunque si fosse proclamato comunista.

L'escalation raggiunse un livello di estrema pericolosità nell'ottobre del 1962, quando Washington accertò che Mosca voleva installare a Cuba un sistema missilistico. Il pianeta fu sull'orlo dell'Apocalisse nucleare, ma davanti alla possente reazione Usa i sovietici rinunciarono al progetto. Cuba era comunque diventata un vassallo a tempo pieno di Mosca. In compenso riceveva foraggiamenti - a spese dei poveri russi - equivalenti a un quarto del Pil dell'isola. Castro aveva instaurato un potere dispotico modellato, in peggio, su quello sovietico. Collettivizzazioni, espropriazioni, un pauperismo diffuso, le tessere alimentari, la polizia onnipresente, un culto della personalità ripugnante e il prevalere del dio dollaro, unica seria unità di misura economica. Nello stesso tempo Fidel alimentava conati insurrezionali un po' dovunque, divenne amico dell'editore Giangiacomo Feltrinelli che pensava a una resistenza sarda, procacciò armi a complottisti d'ogni risma e ne fece dono anche a qualche governante. Come Salvador Allende, il quale si uccise dopo il golpe militare con una mitraglietta donatagli da Castro. Il quale tuttavia, essendo la sua Cuba comunista ma anche cattolica, ha ospitato prima Giovanni Paolo II, poi - quando già nominalmente non aveva più il comando - Benedetto XVI. Castro mantenne il segreto sulla propria vita privata, ma s'è saputo che una figlia, Alina, aveva come Svetlana Stalin scelto la libertà, ponendosi sotto la protezione Usa.

La fine dell'Urss fu per Cuba una catastrofe. Tuttavia il vecchio líder máximo si limitò ad allentare un po' le catene dalle quali Cuba era imprigionata. Non rinunciò, nemmeno dopo, alla mano dura contro i dissidenti, alcuni mandandoli al paredón, il muro delle esecuzioni. Non aveva esitato a perseguitare, come eretici, i compagni di lotta. Poi i guai di salute, con una grave operazione intestinale, hanno determinato il passaggio delle consegne al fratello Raul. Fidel Castro era finito, ed era in buona sostanza finito il suo regime.

Ma come eroe d'un certo terzomondismo anti Usa Castro aveva conservato il suo prestigio, molte schiere di intellettuali anche italiani - basta pensare a Gianni Minà - ne magnificavano i successi nell'alfabetizzazione e nella sanità. Era lo stesso tipo di successi accreditati all'Urss, anche da corrispondenti stranieri. Ma non appena si ammalavano correvano a Helsinki per farsi curare.

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